Venezia 74 - Gatta Cenerentola, la recensione
Presentato nella sezione Orizzonti del Festival di Venezia, Gatta Cenerentola è un film d'animazione anomalo e affascinante dal gusto visivo raffinatissimo
Attraverso una rilettura in chiave contemporanea della versione campana redatta da Giambattista Basile, risalente alla metà del XVII secolo e contenuta in Lo cunto de li cunti, i registi - già autori, nel 2013, di L'arte della felicità - confezionano un racconto spigoloso e affascinante come i personaggi che lo animano, offrendo uno straordinario esempio di come l'animazione made in Italy - e, nello specifico, made in Napoli - vanti uno sguardo peculiare e raffinato, che nulla ha da invidiare a prodotti internazionali con budget più ingenti e produzioni più blasonate.
L'affresco della città diventa polisensoriale, allargandosi dal visivo per insinuarsi nell'orecchio dello spettatore tramite una colonna sonora magnifica, costellata di brani magistralmente interpretati. Plauso alla scelta, coraggiosa e azzeccatissima, del gergo vernacolare come lingua primaria del film, in un chiaro omaggio al dialetto usato da Basile per redigere la sua versione di Cenerentola; le asperità del napoletano costituiscono un tessuto sonoro stranamente ancestrale nella sua ritmica, e acuiscono con volgarità mai casuale le tinte forti del film, lontano anni luce dalla mielosità tradizionalmente attribuita al cinema d'animazione.
È lui il cantore di questa Napoli derelitta e straziata, che affonda nel degrado e sembra destinata a uccidere qualsiasi residuo germoglio di bene: nemmeno il finale del film offre definitiva consolazione allo sguardo dei registi sulla loro città, consapevole dell'orrore presente ma sempre e comunque profondamente innamorato del suo eccelso potenziale, che ha trovato in Gatta Cenerentola un fulgido compimento.