Venezia 73 - Sulla Via Lattea, la recensione
Furioso, dinamico e animato da un ritmo inarrestabile di rumori, spari, animali, musica e personaggi, Sulla Via Lattea è il miglior Kusturica da anni
Ci si può facilmente infastidire di contadinelle procaci e amorose, di lattai che girano tra le pallottole con un romantico ombrello aperto (come se li proteggesse) e di un gran misto di animali che paiono recitare come attori. Ma forse è meglio farlo in altri film, qui questi elementi fiabeschi vivono con tale energia in un caos in cui la vitalità è parente stretta alla brutalità, che anche la più nota e trita delle figure non può somigliare a nessuno stereotipo.
In questa storia d’amore in guerra (non una novità per Kusturica) esiste un’estasi che non è nemmeno audiovisiva, è proprio sinesteticaIn tutto ciò il montaggio (l’arma cui solitamente è demandata la scansione del ritmo) lavora in maniera imprevedibile. Sulla Via Lattea stacca sempre quando non te l’aspetti e anche chi non si interessa di simili tecnicismi ne subisce l’effetto. Subisce cioè l’effetto di questo ritmo scazonte.
Kusturica ha da sempre un rapporto particolare con la morte. La teme, la odia e la depreca ma è anche la paradossale fonte del vitalismo dei suoi film. L’aria funerea che si respira in quest’ultimo film (che non si risparmia eccessi truculenti ed esplosioni di sangue) è fonte di vita e non porta mai vera tristezza. Ci si spara addosso durante le feste nell’indifferenza e nel ballo generale, si muore bruciati vivi in posizioni cartoonesche senza troppo dramma e magari si torna anche in vita con la stessa facilità con cui, ad un certo punto e inspiegabilmente, si vola. Le ferite non fanno male, le orecchie staccate si possono ricucire con ago e filo con la stessa furia con cui si porta il latte facendolo cadere da tutte le parti.
Si tratta di un modo di vivere impossibile, da sogno agitato figlio di un’indigestione ma anche estremamente potente e sentimentalmente assordante.