Venezia 73 - Une Vie, la recensione
Vorrebbe essere moderno nello svolgimento, Une Vie, vorrebbe trovare l'umanità nell'ordinario ma trova solo distanza che diventa in breve fastidio
La storia è quella di Jeanne, donna di famiglia ricca ma non ricchissima, educata in un convento e tornata dai suoi nell’800 francese. Troverà marito, avrà un figlio, lo manderà in collegio, questo partirà per Londra e poi Parigi lasciandola sola dopo la morte violenta del marito fedigrafo e quella naturale del padre. Una vita apparentemente non interessante ma nella realtà ottima per cogliere le caratteristiche base dell’umanità, che poi è il soggetto del cinema più ardito: trovare nelle esistenze più ordinarie la scintilla di meraviglia grazie allo scavo nell’animo umano. Senza che ci siano eventi mastodontici ad intralciare il percorso e distrarre, la vita di Jeanne dovrebbe raccontarci la parabola dolorosa di un animo sensibile vessato dal male del mondo (o degli altri, che sono il nostro personale inferno).
Invece che rendere lo spettatore uno di famiglia, incline a compatire ogni cosa per la vicinanza alla vittima, lo tiene a distanza come un osservatore occasionale, ovvero facile a condannare e incapace di sentirsi parte in causa. Inutile dire che con una simile disposizione la noia è dietro l’angolo.