Venezia 73 - The Young Pope [episodi 1 e 2]: la recensione

Nei primi due episodi della sua attesissima The Young Pope, Paolo Sorrentino riflette sulla solitudine e sul potere, venando la sua riflessione di ironia e dissacrazione

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"Cosa abbiamo dimenticato?" Le parole del sogno di Lenny Belardo (Jude Law) costellano come un leitmotiv i primi due affascinanti episodi di The Young Pope, miniserie in 10 episodi diretta da Paolo Sorrentino e destinata ad approdare sugli schermi italiani il 21 Ottobre, trasmessa su Sky Atlantic, per poi raggiungere il pubblico statunitense su HBO nel febbraio del prossimo anno.

Impervio è il compito di recensire due puntate di un'opera che, sin dalle sue prime battute, si configura come un complesso ritratto articolato in dieci parti; un'opera che, stando a quanto mostrato oggi al pubblico del 73simo Festival di Venezia, promette di segnare una netta linea di demarcazione nella narrazione televisiva cui siamo abituati. Chi spera o teme di assistere a una versione clericale di House of Cards o Game of Thrones, farà meglio ad abbandonare speranze e paure sulla schermata nera dei titoli di testa. The Young Pope è un'opera di Sorrentino - o, almeno, lo è per ciò che ci è stato possibile vedere e apprezzare nei primi due episodi.

Rispetto all'intenzionale frammentarietà di Il Divo e, soprattutto, di La Grande Bellezza, Sorrentino sembra qui voler recuperare una linearità narrativa che, imponendogli un limite, giova tuttavia all'interna libertà dialogica. I punti fermi della trama fungono dunque da pilastri portanti, per consentire al regista-sceneggiatore di sbizzarrirsi - senza, si badi, annegare nell'insidiosa palude dell'autocompiacimento - nella costruzione di situazioni che attingono dal reale per assurgere alla sfera del grottesco, con risvolti di comicità raffinata che non mancheranno di suscitare perplessità nel pubblico meno avvezzo allo humour dell'autore partenopeo.

Il faceto è, però, solo una delle patine che, sovrapposte, accordano a The Young Pope una ricchezza di sfumature vivida e cangiante, arricchendo d'interesse la parabola umana di Lenny, pontefice di cui, al termine del secondo episodio, sappiamo ancora ben poco. D'altronde, è egli stesso a dichiarare senza mezzi termini di essersi preparato da tutta la vita al pontificato, allenandosi alla dissimulazione e confusione dell'interlocutore sui propri reali pensieri, tradendo una psicologia incline al sospetto continuo e, pertanto, alla solitudine. Lenny è al lavoro da anni sul suo Pio XIII (nome non casuale, la prima citazione a Papa Pacelli arriva nel coreografico gesto a braccia aperte nel sogno iniziale, strizzata d'occhio allo storico scatto del papa dinnanzi alle macerie di San Lorenzo), la sua ascesa al soglio petrino è il coronamento di una strategia politica altrui - del cardinal Voiello (Silvio Orlando) in primis, ignaro dei grattaccapi che l'elezione del giovane americano gli avrebbe procurato.

Non è il canuto, dubbioso papa dipinto da Moretti nel 2011, ma un agguerrito stratega, che cade tuttavia vittima della propria stessa strategia: la dissimulazione diviene incoerenza, l'alterigia genera irrimediabile solitudine. Una solitudine da cui neppure l'amatissima Suor Mary (Diane Keaton), madre spirituale del giovane pontefice, riesce a salvarlo. Né lo aiuterà, nel momento di massimo bisogno finora incontrato, il suo mentore tradito, il cardinal Spencer (James Cromwell), che gli fa patire il peso di un secondo abbandono dopo quello vissuto da bambino, scaricato nell'orfanotrofio di Mary.

The Young Pope

Non c'è neppure Dio a salvare Lenny dal suo isolamento, a offrirgli uno spiraglio nel momento  di crisi: percepiamo appieno il peso della sua invidia nei confronti dei pochi, fortunati esempi di autentica bontà che incontra nel corso della vicenda, invidia che trova sfogo quando gli occhi del mondo sono tutti puntati su di lui. E lì, nell'oscurità fortemente voluta da Lenny, nella negazione della luce divina che banalmente ci si aspetterebbe esaltata da un pontefice così giovane, la sua omelia rabbiosa e sconsolata sembra echeggiare il discorso del prete interpretato da Renato Scarpa al termine di Un Borghese Piccolo Piccolo. La differenza fondamentale è che Lenny non sta parlando di Dio all'umanità ma, più semplicemente, sta parlando di Dio - e del padre - a se stesso, in una presa di coscienza della propria emarginazione, sotto un cielo che gli manifesta ostilità (in opposizione a quanto mostrato nella sequenza onirica d'apertura).

Ed ecco che la risposta a quel "cosa abbiamo dimenticato?" apre il campo a molti dubbi: Lenny ha dimenticato Spencer, accettando il ruolo che il vecchio prelato aveva sognato di ricoprire, e nel far ciò è stato (di nuovo) abbandonato. Eppure, il germe del ricordo sembra ancora vivo in Lenny, concretizzato nella vecchia pipa conservata negli anni, ultimo e forse unico ricordo del padre naturale.

Al di là dell'impressionante macchina produttiva che ne ha consentito la brillante realizzazione tecnica, The Young Pope è forse il progetto tematicamente più ambizioso che Sorrentino abbia affrontato finora. L'inevitabile riflessione sul potere viene decentrata dal focus della narrazione, divenendo uno dei tanti tasselli che vanno a comporre il ritratto vivido di un dramma tutto umano. Risulta pregevole, a tal proposito, la costruzione del personaggio di Lenny, ambizioso e travagliato, sagace ma non simpatico, affascinante ma inavvicinabile; perfetta la scelta dello sguardo magnetico e acuto di Jude Law per incarnare le ambiguità di un personaggio che attrae e repelle al tempo stesso, alternando l'anelito alla ieraticità a una rabbia cinica figlia di un disincantato dolore.

Molto si potrebbe speculare sul prosieguo della serie, stando al trailer diffuso oggi da Sky, ma la speranza è che l'imprevedibilità professata da Lenny si estenda anche alla vicenda narrata nello show. Per il momento, la fumata è bianca per The Young Pope: staremo a vedere se il suo pontificato televisivo soddisferà le alte aspettative poste in campo da questi due mirabili episodi.

The Young Pope

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