Venezia 73 - The Journey, la recensione
Si affida al talento istrionico di Timothy Spall e Colm Meaney il road movie politico The Journey, che romanza lo storico accordo tra i leader irlandesi Ian Paisley e Martin McGuinness durante un viaggio in macchina verso Edimburgo
Stavolta, il road movie più avvincente del festival - lontano anni luce dalla statica inconsistenza del nostrano Questi giorni - vede protagonisti due personaggi desunti dal reale, di peso specifico molto superiore rispetto al travagliato capo cantiere Locke: nel claustrofobico abitacolo, guidati verso Edimburgo da un giovanissimo autista (Freddie Highmore) con qualche segreto di troppo, s'incontrano e si scontrano Martin McGuinness (Colm Meaney), fervente repubblicano indipendentista con alle spalle un passato oscuro nelle file dell'IRA, e Ian Paisley (Timothy Spall), burbero e carismatico leader del Partito Unionista Democratico, conservatore e anticattolico.
Tuttavia, la fantasia romanzata di Knight coglie nel segno, appassionando e divertendo lo spettatore, cui fa fare capolino quanto basta nelle questioni politiche, sollevandosi furbamente dallo schierarsi con l'una o l'altra parte. Una scelta che, va detto, risulta perfettamente coerente con il messaggio di The Journey, che sottolinea con semplice efficacia il valore del compromesso, evidenziando la pericolosità della santificazione idealistica e auspicando, tra le righe, che una flessibilità come quella di Paisley e McGuinness possa non restare un unicum, trovando il coraggio di dipingerla non solo come sacrificio del credo individuale in favore del bene di un popolo, ma anche come vantaggioso accordo tra due uomini né buoni né cattivi, ma inesorabilmente segnati dalla sete di potere.