Venezia 73 - São Jorge, la recensione

Ecco la nostra recensione di São Jorge di Marco Martins, film d'apertura della sezione Orizzonti del 73simo Festival del Cinema di Venezia

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"Uomo non mangia uomo" dice il piccolo Nelson, ripetendo l'insegnamento del padre, il pugile Jorge (Nuno Lopes) nel film São Jorge di Marco Martins, presentato oggi in apertura della sezione Orizzonti del 73simo Festival di Venezia. Una storia scura e desolata come gli scenari in cui si articola, una parabola di disperazione che ben ritrae la crisi economica portoghese del 2011, quando la fascia più disagiata della popolazione finì preda delle agenzie di riscossione debiti.

Jorge è il classico gigante dal cuore buono, cui la crisi rischia di portar via il figlioletto assieme all'ex moglie Susana (Mariana Nunes), disillusa e intenzionata ormai a tornare nel natìo Brasile, ripercorrendo al contrario l'iter del tradizionale flusso migratorio. Costretto dall'indigenza ad accettare di perdere dietro compenso gli incontri di boxe a cui partecipa, lo speranzoso protagonista si trova ben presto catapultato in un mondo che capovolge la sua quotidianità, costringendolo a ricorrere alla violenza per poter sperare di ottenere il danaro necessario a trattenere Susana e il bambino dall'espatrio.

La scabra realtà raffigurata nel film di Martins trova un'efficace amplificazione nella scelta registica di seguire Jorge a distanza ravvicinata, quasi come se lo spettatore potesse far sentire al protagonista quel fiato sul collo che è il fil rouge dell'intero racconto. Se le circostanze portano Jorge a tradire l'insegnamento elargito al figlio, forzandolo a tramutarsi in un uomo mangia-uomini, la sua parabola di cannibale per necessità non può avere vita lunga, in un paese che tenta invano di estrarre succo da un frutto ormai secco.

Il tentativo di narrare una tragedia sociale - le cui ripercussioni si fanno sentire ancora oggi - attraverso il percorso breve e ineluttabile di un singolo personaggio, risulta compiuta senza cadute di ritmo, e la prevedibilità della caduta di Jorge non pesa sullo sguardo del pubblico; in un regime di relativa sobrietà drammaturgica, è ben inserita la scelta di privare lo spettatore di una conclusione esplicita. Il destino di Jorge resta sospeso dopo un ultimo, appena consolatorio sprazzo di gioia, mentre si avvia verso la propria esecuzione, congedatosi non solo dai propri cari, ma anche dalla vita. Una vita a cui nel piagato Portogallo del 2011, parola del film, era fin troppo facile rinunciare.

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