Venezia 73 - Orecchie, la recensione
La nostra recensione di Orecchie, la tragicomica pellicola diretta da Alessandro Aronadio presentata a Venezia 73
Pensato in bianco e nero e ritagliato nel formato 16:9, la pellicola tocca i temi più esistenzialisti con un’apparente leggerezza: il mondo sta andando allo scatafascio? Non dovremmo preoccuparci dell’apatia del nostro prossimo? Quand’è l’ultima volta che abbiamo assistito ad un sorriso autentico?
Se la finzione è a colori ma il bianco e nero è più realistico, parafrasando Sam Fuller ne Lo Stato delle Cose di Wim Wenders, Alessandro Aronadio, al suo secondo lungometraggio, se ne serve per scolpire immagini buffe e bizzarre, surreali per quel che concerne le tematiche trattate (la ricerca di un buon otorino per curare il sibilo) e ordinarie per le location da cui scaturiscono i singolari dialoghi: l’incauto laureato in Filosofia dell’esordiente Daniele Parisi infatti esorcizza i grandi dubbi in quella serie di non-luoghi tanto cari ad Edward Hopper, i centri di deumanizzazione metropolitana quali fast-food, tram e vicoli di periferia.
Grazie ad una narrativa semplice e leggera che dà la medesima importanza al silenzio dei gesti quanto allo battuta di spirito (esemplare come la sceneggiatura premi le pause e le ellissi nei dialoghi) , si protende un viaggio on the road che rigetta l’accumulo frenetico degli incontri per dirigersi, con grande spontaneità, verso il congiungimento del malessere fisico ed emotivo, la comprensione che è la vita è troppo breve per viverla infelicemente, verso la sola ed unica risposta esauriente che sa evolvere una qualunque giornata in un proficuo cambiamento di spirito.