Venezia 73 - El Ciudadano Ilustre, la recensione - Articolo del 5 settembre 2016 - 193105

La provincia di El Ciudadano Ilustre è un incubo di conformismo che si ciba di sè e anche il cittadino più illustre che vi ritorna può vivere un inferno

Critico e giornalista cinematografico


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A giudicare dalle luci, dai luoghi in cui sono girate le scene e da una certa sbrigatività nella composizione El Ciudadano Ilustre deve essere costato davvero poco. Siccome però le idee sono gratuite, questo film argentino non manca di una sapienza prima di scrittura ma poi, più avanza, soprattutto di regia che lo rendono una commedia che non guarda in faccia a nessuno. Non è infatti tanto la storia di questo scrittore premio Nobel, depresso e arrabbiato perché il premio sancisce la sua morte artistica, la fine della sua carriera, che torna nel paesino di provincia in cui è nato e cresciuto (ma da cui è fuggito) per trovare un inferno di piccineria, a segnare la forza del film ma la maniera in cui i registi Mariano Cohn e Gaston Duprat e lo sceneggiatore Andres Duprat mettono in scena il paesino, la rabbia fortissima con la quale massacrano le ritualità, le ignoranze e i provincialismi argentini (che sono identici a quelli italiani e probabilmente a quelli di tutto il mondo).

Con un bravissimo protagonista (Oscar Martinez) attento a mostrare il misto di alterigia, snobismo e bisogno di conforto del suo personaggio, a guidare quasi ogni scena El Ciudadano Ilustre ha il suo pregio maggiore nell'unione tra sceneggiatura e scenografia, nella composizione attenta di ogni scena per fare in modo che le parole si accompagnino a costumi e luoghi, che lavorino per assonanza o contrasto.

Evidentemente dietro il film c'è una conoscenza profonda di quella forma particolare di squallore e semplicismo che incombe nelle province più infami, della cappa di insignificanza di chi non ha mai desiderato altro se non un medio sopravvivere in luoghi in cui tutte le regole sembrano già scritte e l'autonomia personale è limitatissima dalle covezioni. I due registi qui dimostrano ancora, dopo il bellissimo El Artista (visto nel 2008 alla Festa del cinema di Roma) di sapere che la messa in scena è più complessa della sola illuminazione scegliendo luoghi e acchittandoli a dovere.

Si ride in El Ciudadano Ilustre per un infisso in alluminio, per un quadro alla parete, per l'abbigliamento del sindaco, per la poca affluenza ad una lezione o per le espressioni vacue di un ventaglio di comparse che meriterebbero un premio se solo fossero attori. Non ci sono battute divertenti né gag fisiche, basta uno staccio di montaggio che va a parare nell’ambiente giusto per scatenare un’irrefrenabile risata colpevole ma sana. Addirittura, in uno dei momenti più esilaranti è una presentazione PowerPoint a fare la parte del leone, disegnata e messa insieme con un gusto kitsch che sfiora la perfezione.
La cosa meno rivoluzionaria, oggi, è ridere dei potenti, dei soliti noti e degli abbienti. La cosa più rivoluzionaria invece è puntare l’arma più potente di nuovo verso i più piccoli e per certi versi deboli, che lo stesso possono creare un inferno per i propri simili. Senza pregiudizi o pietismi di sorta Cohn e Duprat fanno proprio questo e lo fanno dimostrando di sapere di cosa parlano.

Anche perché in tutto questo il film sa innestare una storia che non risparmia il protagonista, una di cinismo vero che se bastona i provinciali, si lascia un po' di colpi (specie nel finale) per il pessimo intellettuale e la sua bieca seconda finalità. Nel mondo infame di El Ciudadano Ilustre non ci sono santi e, questo è il bello, non ci sono vere vittime, solo tanti piccoli carnefici che a turni si fanno del male e rendono impossibile la vita agli altri.

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