Venezia 73 - In Dubious Battle, la recensione
Presentato al 73simo Festival del Cinema di Venezia, In Dubious Battle di James Franco rappresenta, seppur con innegabili difetti, il punto più alto finora raggiunto dal regista nella sua carriera non attoriale
A oltre dieci anni dal suo esordio registico, con In Dubious Battle Franco dimostra di essere sulla strada giusta per liberarsi della zavorra che maggiormente ha gravato sulle sue ultime opere, ovvero la presenza ingombrante della fonte letteraria d'origine. Pur rispettando il romanzo di Steinbeck, incentrato sul drammatico sciopero di un gruppo di raccoglitori di mele in California nel 1933, il regista-attore rinuncia alla tediosa verbosità che aveva affossato lavori certo non privi di spunti interessanti, dal già citato Child of God (tratto dal romanzo di Cormac McCarthy) a The Sound and the Fury (derivato da Faulkner).
In Dubious Battle (il cui titolo è derivato dal Paradiso Perduto di John Milton) è opera tutt'altro che perfetta, intendiamoci: tuttavia, rappresenta a oggi il punto più alto raggiunto sinora da Franco nel suo percorso registico, nonché il passo decisivo per una maturazione poetica caratterizzata da un occhio sinceramente interessato alle questioni sociali. Se riuscirà a spogliarsi definitivamente dell'intellettualismo fastidioso che, di tanto in tanto, ancora emerge dalle crepe più visibili delle sue opere, si può ben sperare per il suo futuro da cineasta.