Venezia 73 - Animali Notturni, la recensione

Pensato su tre piani diversi, finzione, presente e passato, Animali Notturni crea dei paralleli forti ma non sa che farne e alla fine rimesta nel vuoto

Critico e giornalista cinematografico


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L'unico tratto in comune tra A Single Man e Animali Notturni, cioè tra il primo e il secondo film di Tom Ford, sono i capelli e gli interni, ovvero una protagonista dalla chioma rossa, insoddisfatta da un matrimonio con tradimento, che si trastulla in case pazzesche, ville fantastiche dal lusso mai nascosto. Lì eravamo negli anni '60, qui siamo nel presente (e forse per questo fa ancora più impressione la presenza di un caposervitù nella casa della protagonista). Da questi capelli rossi e da quel lusso discende tutto, il fascino e i problemi, la sofferenza e le esigenze. Sarebbe da pazzi negare che un approccio simile ad un film non sia affascinante, che non sia interessante avere una storia che è figlia dei colori e delle forme, degli interni e degli accessori, come delle auto e dello sfarzo. Quel film interessante però non è Animali Notturni.

Amy Adams, la cosa migliore del film (di nuovo) è una donna con un matrimonio alle spalle, che riceve la bozza del romanzo del suo ex, dopo 20 anni in cui non si sono sentiti. Lungo tutto il film legge il manoscritto e quando lo fa vediamo in immagini ciò che è contenuto nelle pagine, una storia durissima di violenza e vendetta. Nel romanzo infatti un uomo, sua moglie e sua figlia (l'uomo nell'immaginazione della protagonista ha le fattezze del suo ex, Jake Gyllenhaal, e la moglie le somiglia, è Isla Fisher) sono fermati nella notte da un gruppo di redneck che abusa delle due donne e le uccide, da quel momento lui vivrà per avere la sua vendetta. Mentre lo legge però la protagonista ripensa anche alla sua vita e alle scelte che l'hanno portata ad allontanarsi dall'ex marito, ripensa cioè alla donna che era (vogliosa di seguire i sentimenti invece che la convenienza economica) e a quella che è (materialista come sua madre che una volta disprezzava).

 film tecnicamente impeccabile, che non riesce mai imporsi nell'agenda dello spettatore

Per una storia così, che incrocia tre piani (presente, passato e immaginazione) è necessario un lavoro di montaggio impeccabile, complesso e inventivo (da parte di Joan Sabel, la stessa che ha montato la furia omicida di Kill Bill), un altro tassello tecnicamente impeccabile di questo film tecnicamente impeccabile, che non riesce mai imporsi nell'agenda dello spettatore. Nonostante siano molto chiare le traversie della protagonista non siamo mai con lei o contro di lei, esiste sempre un filtro che ci impedisce di avvicinarci al suo (melo)dramma. Lo stesso problema di narrazione che affliggeva A Single Man, il disinteresse, lo ritroviamo qui. La stessa ignavia emotiva e pretesa che sia lo spettatore a trovare dentro se stesso le sensazioni invece che la storia a risvegliarle. E tanto più sono impeccabili spunti e particolarità, tanto più è evidente cosa manchi.

Perché anche il parallelo tra la storia di dolore, sofferenza e privazione del romanzo che viene letto e la dimensione emotiva della donna che lo legge, in cui viene risvegliata la voglia di una vita panica, è solo tratteggiato e non usato. Una volta che abbiamo capito che quelle sensazioni lette sono le stesse riportate a galla in chi sta leggendo, il film non affonda la stoccata, non mette a frutto la maturata consapevolezza nello spettatore, lasciando tutto, ancora, nel vuoto, convinto che il senso a suo modo emergerà da sè.

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