Venezia 72 - Taj Mahal, la recensione
Piatto e privo di uno stile incisivo che ne giustifichi la creazione, Taj Mahal si regge esclusivamente sul talento di Stacy Martin
Il dramma di Saada nasce dal racconto di una superstite dell'evento, sul quale il regista francese costruisce la sua Louise (Stacy Martin), diciottenne trasferitasi da poco coi genitori nella variopinta città indiana. Il suo soggiorno si tramuta in un allucinato nascondino nella propria stanza, fino a culminare nell'incendio che la porta faccia a faccia con una morte orribile, unita negli ultimi fatali momenti alla neosposa Giovanna (Alba Rohrwacher).
L'opera di Saada perde mordente proprio sul finale, trascinato inspiegabilmente e aperto su una tematica, quella della difficoltà di continuare a vivere dopo essere stati toccati così da vicino dalla morte, che avrebbe meritato una più ampia trattazione; tratteggiata con colposa approssimazione, diventa solo l'ennesimo, inutile diluente di un racconto già di per sé allungato fin troppo. Occasione mancata, che garantisce però comunque al pubblico ennesima prova dell'ormai chiaro talento della bella Stacy Martin (presente in Orizzonti anche con The Childhood of a Leader). Una stella in ascesa la sua, la cui luce dà motivo d'essere a un film altrimenti privo di autentiche attrattive.