Venezia 72 - Remember, la recensione

Contro tutto e contro tutti, incluso se stesso, il protagonista di Remember dà la caccia ad un vecchio nazista con il piglio di Memento e le tecniche di 24

Critico e giornalista cinematografico


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Ogni scusa è buona per fare un gran film di suspense ma nessuna è buona come un intrigo nazista. Lo sapeva Il maratoneta, lo sapeva Notorious e lo sa Remember, film che non parla di shoah ma del piacere insito nel cinema di tensione e usa la caccia al nazista rimasto nascosto per decenni come scusa.

Era un classico degli anni '60 e '70, qualcuno che scopre o va a cercare dei vecchi gerarchi rimasti nascosti da qualche parte, sotto mentite spoglie, insospettabili padri o nonni di famiglia, un classico che torna qui proprio all'ultimo momento possibile (i protagonisti hanno ben più di 80 anni e dovevano essere giovanissimi negli ultimi anni di guerra, siamo al limite proprio) in una delle sue vesti migliori.

Egoyan aggiunge alla caccia un particolare che sposta tutto l'asse del film: a partire alla ricerca è un uomo anziano e affetto da demenza senile. Morta la moglie può assolvere alla promessa che non ricorda più di aver fatto e che un amico ha scritto per lui, con tanto di istruzioni dettagliate su come metterla in atto. Zev è infatti un sopravvissuto di Auschwitz, come Max, che negli anni ha lavorato per trovare i nazisti scappati ai processi fingendosi ebrei e li ha fatti arrestare. Uno dei peggiori però solo ora è riuscito a scoprire dove si trovi, è quello che ha massacrato le famiglie di Zev e Max. Va preso e fatto fuori, non c'è tempo per un giusto processo. Siccome Max è su una sedia a rotelle deve essere Zev ad occuparsene mentre il suo amico lo coordina, lo dirige e lo indirizza al telefono, in una versione da terza età della serie 24, in cui nulla è giovane e moderno, ma tutto è anziano, nulla è rapido e tutto è lento.

La forza di Remember sta proprio nella maniera in cui Egoyan puntella di fantastici momenti di puro thriller lo sforzo disumano di Zev. Anziano, malato e con dei preoccupanti vuoti di memoria a cui cerca di ovviare scrivendosi tutto, il protagonista di Christopher Plummer arranca per tutto il film, si muove con difficoltà, gli tremano le mani e si aggira come un candido vecchietto che chiede aiuto a tutti. In buona sostanza è un uomo che lotta contro i propri limiti (mentali e fisici), animato da un compito superiore, un obiettivo da portare a termine a tutti i costi. La sua è una parabola fantastica di sopravvivenza al decadimento, di carattere e ardore.
Poteva essere davvero un film fieramente anni '70 non fosse per la maniera molto moderna con cui Egoyan si muove tra ironia e serietà, con cui da canadese prende in giro la politica statunitense sul porto d'armi, con cui ride dell'anzianità dei suoi protagonisti mentre è dannatamente serio nel lavorare con tutti gli elementi del cinema.

C'è una straordinaria sequenza di pura paura, in una casetta isolata, in cui il regista crea il paesaggio sonoro del campo di concentramento lavorando di urla e cani che abbaiano, un momento di cinema complicato e molto riuscito sia per come ci si arriva che per come Remember riesce ad uscirne. Ed è solo uno dei molti che non riescono ad oscurare un finale molto tirato via, sbrigativo e decisamente troppo conciliatorio per le basi gettate. Ma per l'appunto sono dettagli, la battaglia di intelligenza di Max e il suo respiratore infilato nel caso, coordinata con quella tutta nervo e carattere di Zev e la sua demenza sono una scalata paragonabile solo alla grande avventura di Carl Fredericksen in Up.

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