Venezia 72 - Pecore in Erba, la recensione
La nostra recensione di Pecore in Erba, di Alberto Caviglia, presentato al Festival di Venezia
Pecore in Erba, esordio alla regia di Alberto Caviglia dopo tanta gavetta in seconda unità, si apre con le sigle fittizie di Sky News, un incipit irriverente che stabilisce il tono mockumentary dell’opera. Analogamente a quanto fatto da Lercio ( il regista non nasconde mai l’influenza web sul montaggio della satira), ci viene presentata una storia costruita sui ricordi dell’enfant prodige Leonardo, sin dalla scuola elementare abile nel discriminare il compagno di classe ebreo nonché di divertire (amici e insegnanti) con una serie di bozzetti del tutto simili a quelli simpsoniani di Grattachecca e Fichetto. C’è una costante nella crescita di Leonardo, anomalie che la psicoanalisi non riesce a risolvere: l’odio e la paura per quegli esseri abnormi dal naso adunco e dai riccioli neri. Loro è la colpa della crisi finanziaria, loro hanno legalizzato lo strozzinaggio, loro hanno crocefisso Gesù Cristo e loro con buona probabilità ( indovina chi è stato?) sono responsabili degli attacchi terroristici al World Trade Center. Cospirazione e dubbio crescono floride nella mente di un bambino a cui la società non vieta nulla.
Il film è scandito da fotogrammi ironici che ripercorrono a ritroso la vita del rivoluzionario antisemita, dai primi esperimenti di demagogo fino all’invenzione di un kit per famiglie contenente un accendino, una tanica di benzina e una bandiera (ovviamente da bruciare) raffigurante la stella di David. Il mondo ritratto da Caviglia è reattivo e promuove la sensibilità di questo genietto del male che, come un cinico Steve Jobs, costruisce il proprio impero della superstizione vincendo la timidezza che lo rinchiudeva in cameretta portandolo a relazionarsi con nuove amicizie; ovviamente membri di ronde leghiste, schizofrenici complottisti e bestiali clans di rivolta. Come un germe il coraggio e la malattia di Leonardo nell’affermare tenacemente il ribrezzo antisemita fa proseliti e, anche se qualche volta il nostro eroe negativo viene malmenato dagli anarchici, c’è sempre qualcuno pronto ad aiutarlo e consentire così la progressione della sua follia. Quanto di più sfacciato è il panorama che circonda il protagonista. La metropoli romana è sensibile allo spazio vuoto lasciato dal neo terrorista. Il caos non è mai debellato. I coetanei non ragionano. I graffiti di insulti sono tollerati ed incentivati. Il più scettico rimane il nonno di Leonardo, una vecchia gloria partigiana che osserva l’avanzare della nuova gioventù bloccato sulla sedia a rotelle.
La scomparsa di un’anima controcorrente, problematica e affascinante è un caso mediatico che porta amici e nemici a manifestare in piazza: il comitato ebreo si sente smarrito da quando non è più insultato da Zuliani, le vendite del profumo Acqua Ariana sono in calo e quel gruppo di pazzoidi della Lega Nerd accantona i malumori verso gli immigrati. La dipartita di un leader improvvisato, forte per la sola ragione di aver proposto testardamente negli anni un ancestrale disprezzo razziale, crea contro ogni previsione un’unione dalle basi poco solide. Trattasi di fragili alleanze di circostanza che eppure suscitano più di una riflessione sul tema del diverso, della diaspora e della figura del genitore quale arbitro indiscusso nel sostenere le fantasie militari della prole.