Venezia 72 - Frenzy, la recensione

La follia anima i personaggi ma la disperazione contamina i paesaggi, in Frenzy sono gli uomini lo sfondo di un mondo invivibile

Critico e giornalista cinematografico


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C'è in questo film turco una discesa nella disperazione che parte già dal basso. L'ambiente in cui tutto si svolge è una periferia che pare la discarica dei centri abitati moderni, ai margini della modernità dove si vive in un tempo sospeso che non è certo il presente ma non sembra nemmeno il passato. Questa volta il più classico dei clichè della critica è vero e va detto: il paesaggio è il vero protagonista, l'interprete migliore, il dettaglio più curato e significativo. Quei luoghi umidi e freddi, pieni di mondezza non organica, pezzi di legno e metallo, buste di plastica ed erbacce sono indimenticabili, lì si può solo che impazzire.

Karid viene mandato in quel posto a fare un lavoro assurdo di intelligence per finire di scontare una pena (fruga nella spazzatura alla ricerca di materiale o prove contro i terroristi) e lì incontra suo fratello Ahmed che spara ai cani invece di acchiapparli per poi ammassarne le carcasse in una fossa comune o addirittura venderli sottobanco al macellaio. È tutto terribile e violento in questo un posto ai confini del vivibile, in cui il brutto tempo e il freddo fanno il paio con la disperazione. Qui non a caso Karid comincia, letteralmente, ad impazzire perchè suo fratello non vuole avere contatti con nessuno, e Ahmed lo stesso, almeno dopo aver ritrovato un cane che non aveva ucciso ma solo ferito e aver deciso di tenerlo con sè nascondendolo a tutti.

Due fratelli impazziscono e cominciano a vedere e sentire ciò che non c'è, uno ha la paranoia dei terroristi e di qualcuno che gli vuole mettere i bastoni fra le ruote, che rapisce il fratello e nasconde la donna che vorrebbe amare; l'altro ha il terrore della sorveglianza, non vuole uscire di casa e protegge l'unica cosa a cui vuole bene.
È evidente che a Frenzy non interessa spiegare troppo del contesto ma lasciarlo vago quanto basta perchè sia una terra di nessuno, un paese in cui tutto sembra possibile, come nella fantascienza più cupa. Solo che è il presente turco. Emin Alper decisamente non lava i panni in casa e grida fortissimo con il suo film il suo disprezzo per una nazione che, vista così, ci appare come una cappa opprimente.

Come tutti i grandi film di follia anche Frenzy eccede sempre di più in rumori, ansia, respiri, luci accecanti e cerca di distorcere la percezione del pubblico per metterlo nei panni di questi due uomini, entrambi arrivati a vedere quel che non c'è. Addirittura comparirà anche il terzo fratello, quello di mezzo, quello che pareva morto. Fantasma di chissà quali colpe che non sapremo mai ma che promettono solo altro dolore.
Nonostante una prima parte decisamente troppo lunga, la seconda recupera tutto e cerca di farsi perdonare. Sembrerà un paradosso ma nella sua frenetica regia Alper è anche troppo sobrio visti gli intenti, non vuole mettere in scena se stesso ma convincere tutti del ritratto più nero che si possa fare di un luogo.

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