Venezia 71 - La vita oscena, La recensione

La vita oscena di Renato De Maria, presentato a Venezia nella sezione Orizzonti, è un fallimentare tentativo di psichedelia poetica che scade nel ridicolo

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Nomen omen. Eh già, perché osceno è l'unico appellativo che l'ultimo lavoro di Renato De Maria, presentato oggi al Festival di Venezia nella sezione Orizzonti, merita di ricevere. Il film si propone d'essere una biografia psichedelica del poeta Aldo Nove - che nel film si chiama Andrea - rimasto orfano di padre e con una madre malata terminale e, come se non bastasse, demenzialmente hippy (interpretata da Isabella Ferrari, compagna del regista). Hippy nel senso che corre nei campi felice, in pace con la natura circostante, seguita a un palmo di mano dal figliuolo, che superata da un pezzo l'adolescenza si comporta come se fosse appena uscito dall'asilo nido.

La tragedia della malattia stravolge la vita del giovane, e con esso anche la vita del film, che passa nel giro di un paio di battute dall'essere semplicemente brutto all'essere ridicolo in ogni singola inquadratura, frase, gemito o dissolvenza. Il tutto accompagnato dalla voice over più inascoltabile che il recente - peggiore - cinema italiano ricordi. Protagonista di questo La vita oscena è il francese Clément Metayer, la cui mono-espressiva interpretazione non fa che aumentare il distacco e l'antipatia dello spettatore nei confronti di un ragazzo sofferto nelle intenzioni e imbecille nei fatti e nei pensieri.

In un vortice di droga e sesso, il nostro antieroe dai pantaloni hipster e dai capelli reduci da un passaggio nel bitume si dedica alla sua attività preferita - dopo il tentato suicidio: la poesia. Con esiti tra il raccapricciante e l'esilarante, infilando frasi fatte nel vero senso della parola e - non pago della loro inutilità - reiterandole in media tre, quattro volte. Repetita iuvant. E fa sorridere d'amarezza il fatto che, proprio oggi, a Venezia sia stato proiettato Nymphomaniac - Volume I in versione estesa, film che ha saputo ergere la sofferenza psicologica e la compulsione sessuale ai livelli dell'arte con la A maiuscola.

Non sorprende che l'accoglienza di La vita oscena in sala, malgrado la presenza del cast, sia stata a dir poco tiepida, e a nulla sono valsi gli strenui sforzi di coprire con gli sparuti applausi i fischi della platea - usanza di per sé piuttosto deprecabile, e tristemente diffusa in Italia più che all'estero. Sarebbe stato stato preferibile un assoluto silenzio, parafrasando uno dei poetici versi del nostro buon Andrea alias Aldo. Perché, come detto, stavolta basta il solo titolo a far insieme da sinossi e critica all'intero film.

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