Venezia 71 - La trattativa, la recensione [2]
Arriva La trattativa di Sabina Guzzanti in un Fuori Concorso da applausi. Il film ricostruisce con intelligenza e gusto la sospetta relazione Stato-Mafia
E invece Sabina Guzzanti ce l'ha fatta a raccontare con brio ed eleganza una delle pagine forse più buie del dopoguerra italiano.
Il suo obiettivo è ricostruire con il supporto di un cast di attori sopraffini quello che alcuni magistrati pensano possa essere successo all'indomani della stagione delle bombe di Cosa Nostra (dal 14 maggio 1993 al fallito attentato alla Stadio Olimpico del 31 ottobre 1993) dopo gli omicidi dei magistrati Giovanni Falcone (23 maggio 1992) e Paolo Borsellino (19 luglio 1992).
E cosa potrebbe essere successo? Che lo Stato trattò con una Cosa Nostra, destabilizzata dalla mancanza di un nuovo interlocutore politico dopo il voltafaccia della Dc che non fece niente per fermare quel Maxiprocesso di Palermo (1987) così insultante per i mafiosi da decidere di freddare per vendetta il parlamentare democristiano Salvo Lima il 12 marzo 1992 e cominciare a meditare di far saltare in aria il pm di punta del Maxiprocesso Giovanni Falcone.
Si pensava che dopo le lunghe trasmissioni di Michele Santoro dedicate all'argomento da Annozero a Servizio Pubblico più i numerosi interventi de Il Fatto Quotidiano, il tema della supposta trattativa Stato-Mafia fosse trito e ritrito. E invece la Guzzanti è riuscita a mettere insieme 108 minuti snelli e vivaci. La trattativa è molto godibile e interessante.
Ci piace soprattutto il taglio brechtiano con attori che annunciano la loro discesa in campo recitativa prima di interpretare uno dei vari personaggi chiave di quel periodo oppure, e con una insospettabile voglia di scherzare, annunciano i flashback del racconto ad altri personaggi creando buffi equivoci metacinematografici rompendo la sospensione dell'incredulità. Si è preso chiaramente spunto dall'Elio Petri e Gian Maria Volonté del corto Tre ipotesi sulla morte di Giuseppe Pinelli (1970) ma con una leggerezza e senso dell'umorismo in più niente affatto male rispetto alla severità anni '70 che traspare da Volonté.
Eccoli dunque sfilare e recitare. Da Gaspare Spatuzza (in una scena iniziale esilarante dà gli esami di teologia in carcere facendo la figura del maturando impreparato di Ecce bombo di Moretti), a Scarantino, Massimo Ciancimino, l'ex Procuratore di Palermo Gian Carlo Caselli, il Comandante dei Ros Mario Mori, il colonnello dei Ros Michele Riccio, l'eroico pentito Luigi Ilardo, l'ex Senatore, e fondatore, di Forza Italia Marcello Dell'Utri.
E' un cine-teatro dell'assurdo estremamente plausibile dove la coppia più divertente è rappresentata dal politico Dc Vito Ciancimino e suo figlio Massimo, qui simili a Father & Son de I soliti idioti laddove Vito è un padre virile, manesco e perennemente incazzato mentre Massimo è una sorta di gagà dinoccolato, viziato, un po' femminuccia e cresciuto a "pane e schiaffi".
Si sente lo sguardo ironico di un grande comico donna su questi due uomini del Sud intenti a mettere in scena i più triti luoghi comuni dell'educazione maschile siciliana. Molto, molto divertenti.
Marcello Dell'Utri? Un pacioso palermitano, tondo, gentile, molto appassionato di calcio e tendente a minimizzare ogni cosa con ampi gesti delle mani per indurre l'interlocutore a non prendere mai niente troppo sul serio.
Emozionante invece la coppia carabiniere integerrimo (Riccio) e pentito spericolato (Ilardo) che Hollywood avrebbe potuto subito trasformare in star di una commedia poliziesca per quanto sono simpatici e appassionanti come carabiniere e infiltrato ex mafioso soli contro tutto e tutti.
Così affiatati nel lavoro da diventare cari amici. A loro il compito di mettere in scena uno degli episodi più sconcertanti di tutti: una volta individuato dall'infiltrato in Cosa Nostra Ilardo il covo del boss Bernardo Provenzano... il superiore di Riccio, Mario Mori, opterà per un pronto non-intervento lasciando Provenzano lì tranquillo per buoni 6 anni.
Per non parlare di quei fatidici 18 giorni in cui il covo di Totò Riina, una volta individuato, verrà lasciato incomprensibilmente incustodito dai carabinieri permettendo ai mafiosi di portare via documenti scottanti... e visto che c'erano ridipingerlo pure tutto.
E gli onnipresenti servizi segreti deviati? Viene fuggevolmente citato da Massimo Ciancimino quel mitologico Signor Carlo o Franco con la faccia sfregiata quasi di famiglia con i burrascosi Ciancimino e genialmente rielaborato dal Signor Fausto del Gianni Cavina di Benvenuto Presidente!.
Interessante anche la tesi della cattura non casuale del sanguinario Riina (una Mafia troppo esigente con lo Stato) per portare avanti Bernardo Provenzano (una Mafia più accomodante come dimostrano quei bellissimi flashback che ricostruiscono l'amicizia nata un giorno di pioggia nel bosco tra un piccolo Bernardo Provenzano ragazzo selvaggio alla Truffaut e un giovane Vito Ciancimino studente azzimato)
Ci sarebbe tanto da ridere, se La trattativa non facesse anche un po' piangere. Dopo la visione del film si ha la netta sensazione di aver assistito a una sorta di bestiario tutto italiota con carabinieri superficiali un po' da barzelletta (Mori), ministri che non conoscevano Borsellino nonostante fosse il magistrato più famoso d'Italia (Mancino in un momento "cult" proprio intervistato dalla Guzzanti) e mafiosi più seri e coerenti rispetto ai tanti interlocutori istituzionali di quel periodo. Sembra anzi dal film che gli affiliati di Cosa Nostra abbiano una fierezza e codice etico degna dei samurai giapponesi rispetto a tanta classe dirigente nostrana. La trattativa giunge a questa conclusione con estrema lucidità e potenza cinematografica.
Non era facile.