Venezia 71 - The sound and the fury, la recensione
James Franco torna al Festival di Venezia per presentare The sound and the fury, trasposizione fedele (forse troppo) del romanzo di William Faulkner
The sound and the fury - presentato a Venezia in occasione del conferimento a Franco del Premio Jaeger-LeCoultre Glory to the Filmmaker - è certo un progetto più ambizioso; lo sa bene chi conosce la fonte d'ispirazione del film, ossia l'omonimo romanzo di William Faulkner pubblicato nel 1929 e divenuto, in breve tempo, uno dei più fulgidi esempi americani della tecnica del flusso di coscienza tanto cara agli europei Joyce, Woolf, Schnitzler e Svevo. La storia si articola in tre (nel romanzo erano quattro) capitoli, ciascuno dei quali narrato dal punto di vista di uno dei fratelli Compson, rampolli di una famiglia del Mississippi un tempo facoltosa ma ormai avviata verso il declino, a ridosso del crollo economico del 1929. Si alternano così sullo schermo le vite di Benji (interpretato dallo stesso James Franco), afflitto da un pesante ritardo mentale, del delicato e sensibile Quentin (Jacob Loeb), dell'arrogante e avido Jason (Scott Haze, già ammirato nell'ottima prova data in Child of God). Tutti legati a filo doppio con l'unica sorella, la passionale Caddy (Ahna O' Reilly, presente al Festival anche con She's funny that way di Bogdanovic).
Tuttavia, va riconosciuto al film il pregio di riuscire a calare lo spettatore nel cuore del racconto, dandogli la possibilità, capitolo dopo capitolo, di impossessarsi dello sguardo di protagonisti diversissimi tra loro, senza far mai scemare l'interesse nei confronti dei fatti. La possibilità di osservare la storia da un punto di vista interno è un magnete potente, forse anche comodo, ma perfettamente in linea con lo spirito originario del romanzo di Faulkner, e riesce ad aggiungere il quid in grado di salvare l'opera dal rischio di risultare vacua e inconsistente. Perché, come recita l'epigrafe del film e del libro, tratta dal Macbeth shakespeariano: "La vita non è altro che un racconto detto da un idiota, pieno di urlo e furore, che non significa nulla." E, come non mancò di precisare Faulkner nel ricevere il Premio Nobel per la Letteratura, nel lavoro dello scrittore non dovrebbe esserci spazio se non per "le verità del cuore, le antiche verità universali senza cui qualunque storia è effimera e condannata all'oblio". Va ammesso: al di là delle molte sbavature di un cineasta ancora troppo confusamente poliedrico, The sound and the fury queste verità universali è riuscito a evocarle, salvandosi dall'effimero.