Venezia 71 - The sound and the fury, la recensione

James Franco torna al Festival di Venezia per presentare The sound and the fury, trasposizione fedele (forse troppo) del romanzo di William Faulkner

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Tra le tante personalità poliedriche - o presunte tali - che affollano il panorama cinematografico americano, il signor James Franco ha già dimostrato in più occasioni di avere qualcosa da dire. Già con Sal, presentato al Festival di Venezia nel 2011, seppure con evidenti discontinuità narrative, aveva elaborato una sua poetica visiva precisa e riconoscibile, benché ancora lontana dalla maturità. Stesso dicasi per lo scandaloso The Broken Tower, dove si era addentrato con impavida profondità nella vita e - cosa ben più complessa - nell'opera del poeta statunitense Hart Crane. La sua gestione della narrazione, per quanto sincera, non aveva trovato un'effettiva coerenza e compiutezza fino a Child of God, in concorso al Lido lo scorso anno. Grazie a esso, ancora gravato dal peso di una letterarietà troppo pedissequamente mutuata dal romanzo originario di Cormac McCarthy, Franco aveva però finalmente raccontato una storia davvero fuori da lui, lontana dallo spettro del narcisismo che, in quanto attore, tuttora aleggia intorno al suo capo.

The sound and the fury - presentato a Venezia in occasione del conferimento a Franco del Premio Jaeger-LeCoultre Glory to the Filmmaker è certo un progetto più ambizioso; lo sa bene chi conosce la fonte d'ispirazione del film, ossia l'omonimo romanzo di William Faulkner pubblicato nel 1929 e divenuto, in breve tempo, uno dei più fulgidi esempi americani della tecnica del flusso di coscienza tanto cara agli europei Joyce, Woolf, Schnitzler e Svevo. La storia si articola in tre (nel romanzo erano quattro) capitoli, ciascuno dei quali narrato dal punto di vista di uno dei fratelli Compson, rampolli di una famiglia del Mississippi un tempo facoltosa ma ormai avviata verso il declino, a ridosso del crollo economico del 1929. Si alternano così sullo schermo le vite di Benji (interpretato dallo stesso James Franco), afflitto da un pesante ritardo mentale, del delicato e sensibile Quentin (Jacob Loeb), dell'arrogante e avido Jason (Scott Haze, già ammirato nell'ottima prova data in Child of God). Tutti legati a filo doppio con l'unica sorella, la passionale Caddy (Ahna O' Reilly, presente al Festival anche con She's funny that way di Bogdanovic).

Chi recrimina al cinema di Franco la matrice troppo marcatamente letteraria della sua narrazione, riscontrerà in The sound and the fury i medesimi difetti di sempre: fumosità, verbosità, intellettualismo. A questo si aggiunge la scelta egotica di non limitarsi alla regia, ma di interpretare uno dei protagonisti; scelta quantomai opinabile, dato il continuo rischio di far precipitare il ritardato Benji nell'abisso dei più avariati cliché. L'interpretazione di Franco cammina infatti sul filo di una lama troppo sottile per non inciampare, di tanto in tanto, nella caricatura.

Tuttavia, va riconosciuto al film il pregio di riuscire a calare lo spettatore nel cuore del racconto, dandogli la possibilità, capitolo dopo capitolo, di impossessarsi dello sguardo di protagonisti diversissimi tra loro, senza far mai scemare l'interesse nei confronti dei fatti. La possibilità di osservare la storia da un punto di vista interno è un magnete potente, forse anche comodo, ma perfettamente in linea con lo spirito originario del romanzo di Faulkner, e riesce ad aggiungere il quid in grado di salvare l'opera dal rischio di risultare vacua e inconsistente. Perché, come recita l'epigrafe del film e del libro, tratta dal Macbeth shakespeariano: "La vita non è altro che un racconto detto da un idiota, pieno di urlo e furore, che non significa nulla." E, come non mancò di precisare Faulkner nel ricevere il Premio Nobel per la Letteratura, nel lavoro dello scrittore non dovrebbe esserci spazio se non per "le verità del cuore, le antiche verità universali senza cui qualunque storia è effimera e condannata all'oblio". Va ammesso: al di là delle molte sbavature di un cineasta ancora troppo confusamente poliedrico, The sound and the fury queste verità universali è riuscito a evocarle, salvandosi dall'effimero.

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