"Perché ci vogliono uccidere?"
Difficile dare una risposta semplice ed esaustiva a un bambino di cinque anni che fa una domanda del genere. Ancora più difficile se a farla è tuo nipote, in fuga come te dai rivoltosi che hanno rovesciato il regime dittatoriale da te guidato per decenni. La storia che si propone di raccontare
The President, film d'apertura della sezione
Orizzonti del 71esimo Festival di Venezia, è facile da riassumere: in un paese caucasico non meglio identificato, il sanguinario presidente Dachi vede crollare il proprio regime. Messa in salvo la famiglia e non rassegnatosi all'ormai imminente fine, decide di restare nel paese assieme al nipotino di cinque anni, che porta il suo nome ma differisce da lui in tutto e per tutto.
La fuga per la sopravvivenza porterà entrambi a intraprendere un percorso sempre più impervio, al termine del quale intuiamo esserci solo la morte o la salvezza. E gli spettatori alternano momenti di rancore nei confronti del mostro implacabile dipinto dai rivoluzionari e un sincero moto di solidarietà per il vecchio in fuga, che fa di tutto per proteggere il nipotino. Tanto più che il manicheismo iniziale viene smentito in breve dalle atrocità compiute a loro volta dai rivoltosi, che si dimostrano all'altezza del loro predecessore, perché la violenza genera sempre altra violenza.
The President non è un film impeccabile, sia chiaro: si lascia spesso andare a soluzioni narrative convenzionali, impregnando la seconda parte del film di sentimentalismo non sempre all'altezza della parabola che si propone di raccontare. Eppure, al di là delle sbavature dovute indubbiamente all'intenso coinvolgimento emotivo del regista
Mohsen Makhmalbaf nel raccontare una vicenda che è emblematica della situazione di tanti paesi vessati da un regime oscurantista - tra cui l'Iran, non si può negare l'efficacia del duo di protagonisti: se
Misha Gomiashvili riesce a costruire l'appassionato e appassionante ritratto di un ex Dio caduto nell'inferno che egli stesso aveva creato per il suo popolo, il giovanissimo
Dachi Orvelashvili ne è un tenero contraltare di innocenza e lealtà incrollabile, sebbene messo costantemente di fronte agli orrori scaturiti dalla dittatura del nonno. Così, attraverso gli occhi del piccolo Dachi, che nell'ex dittatore vede solo il burbero nonno che si lascia andare via via sempre a momenti di tenerezza sempre più autentici, anche il pubblico ha la possibilità di cambiare prospettiva.
Per concludere, il valore di un film come The President sta soprattutto nel coraggio del proprio messaggio finale: messaggio che potrebbe sembrare buonista, ma che assume una statura che riecheggia quella del Pianista polanskiano, che seppellisce il rancore per rimboccarsi le maniche e seminare il germe del perdono e della speranza.