Venezia 71 - Messi, la recensione

Presentato Messi, documentario firmato Alex de la Iglesia sul campione argentino del Barcellona. E' il film di chiusura delle Giornate Degli Autori.

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Invito a cena con delitto.
Si cerca di uccidere il mito di Diego Armando Maradona e per farlo serve lui: Lionel Messi, il quattro volte di seguito vincitore del Pallone d'Oro cui manca, per ora, solo il Mondiale.
Questa estate c'è andato vicino.
Gli invitati a cena sono tantissimi, forse troppi.
Amici d'infanzia di Rosario, città argentina calciofila dove Messi cresce istigato a diventare "il calciatore più forte del mondo" dalla nonna tifosa purosangue, preparatori atletici, dirigenti sportivi, compagni di squadra del Barcellona, giornalisti, ex compagni di squadra del Newell's Old Boys, guru del calcio come Valdano, Cruyff, il ct della nazionale argentina Alejandro Sabella e infine lui, il più pittoresco e raffinato nell'eloquio: César Luis Menotti, allenatore dell'Argentina campione del mondo nel 1978 pronto a citare Dio e La Gioconda quando si parla di campioni di calcio. Alla regia lo spagnolo Álex de la Iglesia, qui a Venezia anche regista di un segmento del film a episodi Fuori Concorso Words with Gods.
Si parte e già non hai più fiato. Nemmeno un velocista come la punta del Barcellona potrebbe stare dietro i primi minuti del documentario scelto come chiusura della seziona parallela del Festival Giornate degli Autori. Così frenetico l'inizo di Messi che si fa veramente fatica a seguire i commenti e le conversazioni, private e calcistiche, degli astanti di queste cene eleganti ambientate nello stesso ristorante.
Diciamolo francamente: De la Iglesia ci mette un po' a carburare non solo per colpa dell'eccessiva velocità degli interventi delle teste parlanti e delle parole scattanti ma soprattutto per via di una parte fiction un po' troppo scialba per il soggetto in questione e per la classe del regista coinvolto.
Poi il materiale migliora e come in una progressione che parte zoppicando dalla propria area per poi arrivate in prossimità del portiere dribblando con sempre più precisione, ecco emergere nella seconda parte il senso del personaggio con più lucidità e precisione.

Come ricordava anche il nostro Roberto Saviano in un famoso intervento televisivo dedicato alla pulce argentina, Messi era da piccolo così gracile e mingherlino da dover ricorrere fin da ragazzino a una cura ormonale per facilitare la crescita. Un endocrinologo lo costrinse a farsi delle iniezioni fin dalla tenera età e spesso queste punture erano effettuate da Messi stesso, in piena solitudine come i malati di diabete e magari mentre i compagni di squadra scherzavano accanto a lui negli spogliatoi.
Sempre saltellando tra una chiacchiera a cena, una fiction un po' scialba (il ragazzino scelto per interpretarlo non è il massimo dell'espressività... proprio come Messi) e immagini di repertorio molto belle, la storia del buon Lionel si dipana davanti ai nostri occhi come l'odissea di un ragazzino così controllato e disciplinato da partire prestissimo per la Spagna del Barcellona e crescere, ormonalmente e calcisticamente, nel club catalano pluripremiato lontano da mamma (c'era il papà con lui) ed amici.
Pochissima vita privata (ha sposato la fidanzatina dell'infanzia) e zero maledettismo da celebrità.
La parte più interessante è legata al parallelismo rifiutato ferocemente da Sabella con il punto di riferimento Diego Armando Maradona.
Più forte di destro di Dieguito (mancino come lui), meno istrionico fuori e dentro il campo, leader silenzioso e forse per questo più efficace, più costante ("Maradona era Maradona qualche, volta mentre Messi è Maradona ogni giorno"), meno politicamente scorretto ("Messi rappresenta l'argentino che ognuno di noi vorrebbe essere, mentre Diego è l'argentino che ognuno di noi è" dirà sagacemente un giornalista connazionale di entrambi).
Stupendo il confronto. Nei goal, negli atteggiamenti diversissimi, negli occhi degli astanti.

Arriverà anche un videomessaggio finale di Maradona che non regge il livello speculativo tra calcio & vita raggiunto dagli ultimi minuti per via di un buonismo che sa di non detto ("Ti voglio bene Lionel"), un eloquio stentato (altro che Menoti) eccezion fatta per un commentino interessante ("Solo alla fine della tua carriera si potrà stabilire se sei stato più forte di me") che a voler essere maligni sa di vagamente iettatorio.
A livello di club privati Messi ha già vinto molto di più di Diego Armando Maradona. Manca il mondiale.
Buona fortuna per il 2018.
Questa estate, sappiamo come è andata a finire.

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