Venezia 71 - Manglehorn, la recensione [2]
A furia di asciugare lo stile, di ridurre e lasciare che la storia fluisca naturalmente senza forzature di linguaggio in Manglehorn non rimane più niente
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C'è qualcosa nell'ultimo cinema indie duro e puro di David Gordon Green che non quadra. Già Joe (visto l'anno scorso a Venezia) aveva lasciato una forte sensazione di amaro in bocca, ora anche Manglehorn replica quel tipo di estetica e di storia con i medesimi risultati. Al Pacino è un fabbro di chiavi, un uomo decaduto, una volta idolo di tutti e ora scontroso e antipatico che vive in un'eterna celebrazione del culto di una donna avuta ma non mantenuta, un amor perduto che lo ossessiona e gli impedisce di vivere il presente. Com'è facile immaginare qualche evento del film gli farà superare questa fase.
Al Pacino, che dovrebbe reggere tutto il film, punta solo sulla propria voce (ironia: l'unica cosa che nell'edizione italiana sarà modificata) e su un'andatura sbilenca, rifiuta giustamente il carisma ma non trova il giusto pietismo. Quel che rimane è solo fastidio.
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É tutto abbozzato in Manglehorn. C'è un figlio che a differenza del padre non conduce una vita umile e semplice da America tradizionale ma ne fa una rampante e audace da America moderna. Vive nella metropoli e non sei sobborghi, lavora nella finanza, è spietato e sofisticato (mamma mia quanto sono brutte le scene in cui questo ci viene fatto capire!) e ha dimenticato gli affetti, almeno fino a quando il suo universo finanziario non crollerà (un clichè da impazzire dalla noia). C'è un uomo in ginocchio che non lo vuole ammettere e un tenero nuovo amore da terza età che si affaccia nella sua vita ma non sa cogliere. E infine c'è una piccola umanità che gli si agita intorno, non meglio identificata per aperto disinteresse.
Manglehorn è una lenta e noiosa passeggiata nella vita di un anziano che il narratore ritiene interessante mentre non lo è. E per tutto il tempo ci si chiede quando, questa storia che sta mettendo giù i propri presupposti, diventerà davvero avvincente, quando prenderà il via. Spoiler: non avviene mai e anche quando arriva l'epilogo (ovvero la più banale delle risoluzioni di tutti gli intrecci) non si fa che attendere in piedi e con già la giacca in mano che compaiano i salvifici titoli di coda per poter uscire.Al Pacino, che dovrebbe reggere tutto il film, punta solo sulla propria voce (ironia: l'unica cosa che nell'edizione italiana sarà modificata) e su un'andatura sbilenca, rifiuta giustamente il carisma ma non trova il giusto pietismo. Quel che rimane è solo fastidio.