Venezia 71 - Hungry Hearts, la recensione

Replicando l'audacia stilistica del suo film precedente l'Hungry Heart di Saverio Costanzo non trova l'accompagna alla medesima forza espressiva e si perde

Critico e giornalista cinematografico


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Con questo film Saverio Costanzo si conferma come il cineasta italiano contemporaneo più inafferrabile. Un esordio con una storia di palestinesi e israeliani girata come se fosse natìo di quei luoghi (con una partecipazione, un rigore ed una serietà impressionanti), un secondo film sul seminario, rarefatto e duro da seguire, e un terzo (il primo definibile "commerciale") tratto da un libro di successo tradito nei suoi presupposti e piegato nella forma creando un ibrido tra horror e love story che ha inorridito molti ma a distanza di un paio d'anni rimane potentissimo e formidabile. Hungry Hearts procede su quel binario e gira una storia di un uomo e una donna (ma non è una storia d'amore se non per i primi minuti) con i toni del thriller, lavorando proprio per usare quegli strumenti in un genere che non gli appartiene. Sembra un film convenzionale girato nella maniera meno convenzionale e l'impressione è che sia qualcosa di più complesso di quel che si può pensare a prima vista.

Sarebbe facile liquidare Hungry Hearts come un esperimento non riuscito (e chissà magari lo è davvero), perchè l'impressione è che non tutto funzioni correttamente in questa storia di due amanti che decidono di fare un figlio senza conoscersi troppo bene e che non riescono a gestirlo. Lei s'incaponisce su sensazioni personali e comincia a far fare una dieta paculiare al neonato, lui è convinto che sia sottopeso, a rischio di morte perchè non cresce e i medici sono preoccupati dunque lo sequestra, tutto è sottolineato dagli archi dello score di Psycho e da obiettivi deformanti come un film di Polanski. C'è anche una nonna che incombe come un personaggio lynchano.
Un inizio fantastico con una geniale prima scena (già coerente col tema nutrizionista) e dei titoli di testa con un'imprevedibile Flashdance usata in una dissonanza esaltante, come già Bette Davis Eyes in La solitudine dei numeri primi, lasciano intuire il meglio. Il film pare in forma, capace di coinvolgere da subito, e anche Adam Driver e Alba Rohrwacher s'intendono benissimo non appena stanno a meno di mezzo metro di distanza. Invece lentamente il film cambia, si ammorbidisce e sembra non aver più fiato. Come una sceneggiatura che avanza d'inerzia.

Purtroppo non carbura perchè a differenza di La solitudine dei numeri primi (anche qui la base della storia viene da un libro, seguito però pochissimo) a supportare le molte sbandate non c'è l'impeto emotivo e la potenza narrativa, Hungry Hearts è un film con pochi eventi e poco clamorosi, in cui il sentimentalismo è quasi bandito a favore della tenacia per la riconquista del bambino e il terrore con il quale viene vissuto lo status di genitore. Costanzo se ne frega del genere e cerca di cambiare registro a seconda della sensazione che deve assecondare, se c'è amore usa lo stile del film romantico, se c'è tensione cambia totalmente e lavora come se stesse dirigendo un thriller. Alle volte il risultato è stimolante, nuovo ed eccitante nella sua freschezza ma sono più quelle in cui appare al limite del ridicolo.
Alla fine la maniera in cui Costanzo lavora con il linguaggio dei generi è forse uno dei tentativi più interessanti che il cinema italiano sta portando avanti ma, almeno in questo caso, uno dei meno comprensibili e salvabili.

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