Venezia 71 - Good Kill, la recensione
Sbarca in laguna Good Kill di Andrew Niccol, fiacca storia di un pilota di droni diviso tra coscienza e senso del dovere
Detto ciò, la storia che Andrew Niccol - reduce dal pessimo The Host (la cui non illustre origine letteraria porta la firma di Stephanie Meyer) - ha deciso di trattare in Good Kill, in concorso al Festival di Venezia, è di per sé abbastanza stuzzicante: il conflitto interiore di Tommy (Ethan Hawke), pilota di droni che porta la morte in Pakistan e Afghanistan dalla sua comoda postazione in una base militare del Nevada, aveva potenzialità drammatiche in grado di veicolare qualche messaggio che andasse al di là del mero "la guerra è proprio tanto brutta".
L'errore principale di Good Kill sta nel non essere riuscito a mettere a fuoco il vero dramma della guerra "a distanza", mandando in scena un protagonista che alterna malinconica nostalgia dei bei tempi in cui la morte la portava col suo bell'aeroplanino, rischiando in prima persona, e un'autentica e più profonda crisi di coscienza nei confronti dell'intero sistema bellico. Criticare la guerra è cosa buona e giusta, se fatta con criterio e non per semplice spirito politically correct: ma Niccol mette in bocca al suo Tommy troppe frasi malinconiche per poter classificare Good Kill come una vera parabola pacifista. Inoltre, il relativismo del racconto è manieristico e mai davvero interessante, le situazioni drammatiche finiscono per assomigliarsi tutte ed è difficile, davvero difficile capire dove il racconto raggiunga l'apice della propria climax.
Peggio di un film brutto, c'è solo un film pigro a livello di sceneggiatura: e questo è l'imperdonabile peccato mortale di Good Kill.