Venezia 71 - A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence, la recensione

Roy Andersson porta il surrealismo in Concorso con En duva satt på en gren och funderade på tillvaron (A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence)

Condividi
E meno male che esiste Roy Andersson.

E' arrivato il degno compare folle di Hungry Hearts di Saverio Costanzo il quale però, seppur parecchio pazzerello, rispetto al regista svedese sembra un prevedibile razionalista.
En duva satt på en gren och funderade på tillvaron ovvero A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence ovvero Un piccione siede su un ramo riflettendo sull'esistenza (traduzione letterale).
In una Svezia color cenere si aggirano dei vivi che sembrano morti o, se ci trovassimo in Giappone, degli attori del teatro Nō che hanno cominciato a struccarsi e sono rimasti a metà.
Le loro facce sono incipriate di un bianco spettarle. Ironico, come la prima sequenza insegna, che questi morti viventi, molti dei quali grassi, si aggirino lentamente in un museo di scienze naturali dove sono esposti uccelli impagliati o scheletri di Tyrannosaurus rex in miniatura.
Come nel caso di You, the Living (2007), film più noto di Andersson in Italia e ultima fatica del nativo di Göteborg, il montaggio a vignette riprese a camera fissa è un godimento per chi ama uno humour surreale con sottofondo di sconcerto nei confronti del genere umano.

Immaginate il fumettista Gary Larson che incontra la fotografa Diane Arbus con il regista David Lynch che li raggiunge per fare merenda a mezzanotte spaccata.
Chissà se Giacomo Leopardi avrebbe apprezzato questo stralunato artista scandinavo di cui i Monty Python sembrano i fratelli più pop d'oltremanica.
Uomini e donne con la faccia spalmata di bianco hanno varie esperienze, dandosi il cambio tra una vignetta e l'altra in una città moderna dove esistono computer e cellulari ma può arrivare anche Carlo XII di Svezia (1682-1718) a cavallo per chiedere un bicchiere d'acqua minerale in un bar di periferia.

I personaggi più ricorrenti sono due rappresentanti di articoli per fare scherzi il cui difetto è quello di non far ridere affatto. Dalla borsa delle meraviglie i due estraggono mestamente i canini molto lunghi di un vampiro, un sacchetto che ride ("Sono un classico" ripetono incessantemente come la battuta "E' per i bambini" che Tim Robbins usa come tormentone in Mister Hula Hoop dei Coen) e la maschera di Zio Dente Solitario (una donna quando la vedrà... correrà via terrorizzata!).
Nessuno compra loro mai niente e i due si aggirano per la città sempre più mestamente e sull'orlo della bancarotta.

Poi c'è un'insegnante di flamenco corpulenta innamorata di un suo corsista che la rifiuta, un vecchio che va sempre nello stesso bar da 70 anni (e parte un flashback musical da sentirsi male dalle risate ambientato nel 1943 in cui lo vediamo giovane nella stessa locanda al tempo gestita dalla famelica Lotte la Zoppa), il Re -molto più omosessuale di Giacomo Leopardi- Carlo XII pronto alla disfatta della seconda campagna di Russia dove perderà quasi tutti i suoi uomini nella battaglia di Poltava (1709), gente che al telefono ripete svogliatamente all'interlocutore: "Mi fa piacere sentire che le cose vadano bene", un uomo che sbaglia sempre tutti gli appuntamenti cui cerca di partecipare e qualche giovane innamorato post o pre coitum.

Insomma, varie assurdità da sorseggiare lentamente anche se le due coppie in amore sono dolcissime seppur brevi (appaiono una manciata di secondi). Le donne sembrano più interessate al sesso degli uomini e tutti cantano sulle note della stessa canzone ovvero il componimento nato nella Guerra Civile Americana Mine Eyes Have Seen the Glory (in Usa conosciuta come The Battle Hymn of the Republic). Quella del famoso ritornello: "Glory, Glory Hallelujah", qui adattato nel testo a scopi più prosaici come nell'episodio musical della taverna di Lotta la Zoppa.
E' un film calmo, divertente, irresistibile. Una commedia surreale con due momenti agghiaccianti che non si dimenticano.
Ci riferiamo a una scimmia immobilizzata ed elettrificata in un laboratorio mentre l'impiegata è al telefono a dire: "Mi fa piacere sentire che le cose vadano bene" e un gigantesco girarrosto umano cilindrico color rame in cui dei rudi colonialisti spingono dentro degli imprecisati africani per poi bruciarli a fuoco lento davanti agli occhi dell'alta società (uno show crudele che ci ricorda una delle scene più forti di Anarchia - La notte del giudizio) pronta a bearsi dei lamenti dei torturati ascoltabili attraverso delle trombette che fuoriescono dal cilindrone.
La scimmia in animatronic è pazzesca per quanto è realizzata bene. Un effetto speciale geniale.
Per quanto riguarda il cilindrone... scopriremo che l'autore dell'immagine del girarrosto umano è Jonathan, uno dei due rappresentanti di scherzi che non sa se quella visione l'ha sognata oppure vista attraverso un'allucinazione.
Voi penserete: "Ma è un guazzabuglio nonsense!".
Sì e no.

La scimmia abbrustolita e gli africani cotti al girarrosto svelano un lato dell'assurdo umano che per Andersson vuol dire crudeltà.
Come quel dormitorio allucinante in cui vivono i due rappresentanti gestito da portieri pacatamente ma inesorabilmente severi per cui non c'è mai tempo per fare niente se non parlare a voce bassa e dormire in silenzio per poter andare a lavorare il giorno dopo.
Per Andersson questa è la vita o, per meglio dire, la morte vissuta ogni singolo giorno dai suoi zombi dalla faccia bianca.
Chissà. Forse è così che ci vedono alcuni piccioni quando si siedono su un ramo per riflettere sull'esistenza.

Continua a leggere su BadTaste