Venezia 71 - Dearest, la recensione
Dal Festival di venezia la nostra recensione di Dearest
La missione rimane sempre la stessa, lo strappo della lacrima, e in nome di questo vengono compiute diverse aberranti scelte melodrammatiche o viene forzata in più punti una trama altrimenti molto precisa e puntuale. Lo scopo, va detto subito, è ampiamente raggiunto già nei primi 10 minuti ma la maniera in cui quel livello di sentimentalismo è mantenuto per due ore è stupefacente.
Nella logica del cinema cinese il racconto della società emerge su quello dell'individuo e in questa ricerca di un bambino scomparso lentamente le psicologie dei genitori passano in secondo piano a favore dei mille profittatori e soprattutto di quella dei rapitori. Con un salto clamoroso infatti la seconda parte del film è centrata sul controcampo del rapimento, senza perdere nemmeno una lacrima nel frattempo e con una serie di colpi di scena clamorosi e toccanti che arrivano fino all'ultima immagine.
Della desolazione di un paese in cui i rapimenti di bambini sono una realtà molto frequente (non viene detto ma il sospetto è che le politiche di controllo della fertilità abbiano molto a che vedere con questo fenomeno) arriva un'immagine potentissima. Con trucchi da cinema italiano della liberazione la società è il vero ostacolo dei protagonisti, gli altri e il mondo che li circonda sono il vero cattivo della storia, specie nel momento in cui i villain vengono raccontati nella loro incredibile umanità.
Si accumulano protagonisti (nel finale anche un avvocato) e si accumulano le loro storie individuali ma non cambia l'obiettivo. Dearest racconta gli affetti più cari (quelli familiari) devastati nella società cinese contemporanea, i rapporti madre-figlio e la struggente potenza dell'amore umano vessato dalla legge e lo fa non sempre in maniera leggera ma con una padronanza di un racconto "grande" che è bellissima.