Venezia 71 - Birdman, la recensione [1]

La 71esima Mostra del Cinema di Venezia si apre ufficialmente con il primo film in Concorso: Birdman di Alejandro González Iñárritu.

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E' l'epoca del superomismo.

E infatti siamo costantemente circondati da supereroi.
Riggan Thomson, celebrità hollywoodiana del passato ora alle prese con un ostico adattamento teatrale da Raymond Carver nella spietata New York, ne ha addirittura uno in testa.
Intendiamo... un supereroe. Si chiama Birdman.
Questo personaggio gli parla con la voce sexy di quel Michael Keaton che Seth Rogen, come noi, preferisce nettamente, in una bella scena di Cattivi vicini, a quella palestrata, e meno raffinata, di Christian Bale.

Ebbene sì. Birdman è un doppio più ridicolo del Batman di Tim Burton e Michael Keaton, interpretando sia lui che il suo doppio supereroe uccello metropolitano (buffo il costume), chiaramente prende in giro quel grande momento di celebrità quando vestì i panni dell'uomo pipistrello nei fortunati kolossal gotici burtoniani del 1989 e del 1992.
Adesso il buon Michael fa cose meno prestigiose tipo il telecronista arbitro clandestino esaltato di Need for Speed.
Non solo il vecchio e malconcio Riggan ha un uomo uccello nel cervello ma anche un spettacolo teatrale difficilissimo da presentare a Broadway, da lui interpretato e diretto. Praticamente tutto va storto come in Rumori fuori scena di Peter Bogdanovich (domani al Lido con She's Funny That Way). In primis: il nuovo attore preso in sostituzione di un infortunato è l'ingestibile, manipolatore e diabolicamente carismatico Mike Shiner (Edward Norton), così folle e imprevedibile da alternare momenti di grande verità a raptus egocentrici di incredibile spregevolezza. A questo aggiungente una figlia ex tossica assunta come assistente di scena regina del sarcasmo (grande Emma Stone più acida del solito), una compagna stufa della sua distanza (una soffice Andrea Riseborough), una prima donna sull'orlo dell'esaurimento (Naomi Watts tornata sublime), un produttore terrorizzato (Zach Galifianikis più controllato del solito), un ex moglie severa (Amy Ryan radiosamente rigida) e un critico teatrale pronto a massacrarlo a priori perché disprezza il suo status divistico (Lindsay Duncan arcigna al punto giusto).
Ce la farà Riggan a venire a capo di una vita incasinata, di donne deluse, di doppi rancorosi e di uno spettacolo sempre più fuori controllo?
E come mai sembra che lui possa spostare gli oggetti?
Ma non è che... sta diventando veramente un supereroe?
Non smetteremo mai di digitarlo: la commedia è più difficile del dramma.
“Quando voglio lavorare duro scrivo una commedia e quando mi voglio risparmiare un po' scrivo un dramma”. Chi lo dice? Woody Allen.
Iñárritu, Nicolás Giacobone, Alexander Dinelaris e Armando Bo hanno scritto una buona commedia ma i virtuosismi registici del secondo messicano di seguito ad aprire Venezia (lo scorso anno toccò a Cuarón con il superiore Gravity) lo vedono troppo concentrato a realizzare vorticosi piani sequenza (il primo dura più di dieci minuti). E' tutto tortuoso, ammirevole ma anche estremamente problematico da godere appieno.
I grandi registi di commedia, da Mario Monicelli a Blake Edwards al citato Woody Allen, hanno sempre cercato la semplicità stilistica.
Iñárritu va in tutt'altra direzione e non fai in tempo a finire di ridere per una battuta che lui ti ha fatto altri due o tre salti acrobatici davanti agli occhi.

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Satira contro lo strapotere del cinefumetto a Hollywood? All'inizio sembra di sì (divertente l'elenco di attori cercati da Riggan ma tutti impegnati in blockbuster con supereroi) ma poi il regista si prende terribilmente più sul serio per concentrarsi sui travagli interiori di un egoista infantile autoriferito visto mille altre volte al cinema. La satira richiede un approccio più freddo nei confronti dell'eroe del racconto e più duro nei confronti di un contesto ambientale qui solo sfumato anche se si usano nomi veri come Jeremy Renner e George Clooney. C'è anche un accappatoio che si impiglia in una porta lasciandoti in mutande come simbolo di derisione del surrogato del costume dell'eroe... eppure ridemmo molto di più per il mantello de Gli Incredibili aspirato dalla turbina del motore. C'era molta più cattiveria in quella gag Pixar firmata Brad Bird.
Commedia di equivoci e tradimenti alla Feydeau? Sembra... ma poi torniamo sempre lì: Riggan per Iñárritu ha la stessa importanza drammaturgica del Bardem del suo ultimo Biutiful (2010). E diciamo che i due non sono proprio la stessa cosa.
Dramma familiare con finale dalle parti dell'incontro ultraterreno tra Bardem e suo padre ragazzino nel geniale inizio e fine di Biutiful?
Può essere? Ma allora... perché la commedia per tre quarti della durata?
Insomma... la pellicola è un affascinante casino. Oltre un certo livello non va, proprio come la recitazione tutta ghigni e occhi strabuzzati tipica del nostro Keaton. Farà ridere gli appassionati di cinema, ha alcuni momenti magici (tutte le chiacchiere seduttive tra Stone e Norton sono gioielli di interazione attoriale), qualche bella battuta contro la popolarità (che è “La cugina zoccola del prestigio”, dice l'invidioso Norton-Shiner a Keaton-Riggan) ma in conclusione è troppo seriosa per essere una commedia che funzioni e troppo frivola per essere un bel drammone nello stile del messicano alfiere della gravitas con pietre miliari del dolore 24 fotogrammi al secondo come Amores Perros (2000), 21 grammi (2003), Babel (2006) e l'ultimo Biutiful.
Il finale poi... lascia molto perplessi.
Tutto il film, a partire da un'interessante colonna sonora di percussioni arrabbiate e sinfonie suadenti da vecchia Hollywood, è vissuto dal punto di vista di Riggan.
Alla fine ecco irrompere prepotentemente il punto di vista di un altro personaggio chiave guastando molto un epilogo dalle parti dell'ultraterreno che non solo stona per uno sguardo stucchevolmente in cerca dello spirituale ma pone dei micidiali problemi di coerenza drammaturgica.

Michael Keaton batte il ritmo come una batteria prepotente ma mai sorprendente.
Edward Norton è una tromba sempre pronta a variare ritmo e intenzione. Il più bravo. Ancora una volta è riuscito a ricordarci perché odiamo il fatto che lavori così poco. Le signore tutte eccellenti.
Rimarrà come curiosa bizzarria che prende bonariamente in giro il mondo degli attori. E dei supereroi.
A volte le due categorie rischiano di coincidere nella mente offuscata sia degli attori che del pubblico.
Riggan lo sa molto bene.

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