Venezia 71 - Belluscone una storia siciliana, la recensione
Giustamente titolato Belluscone e non Berlusconi il nuovo film di Maresco non è sul noto Silvio ma usa la sua figura per illuminare un'umanità incredibile
Dunque da una parte c'è un finto noir con voce fuori campo in cui Sanguineti si improvvisa investigatore e racconta di Maresco (presentandolo come regista distrutto dai disastri di Totò che visse due volte, talebano duro e puro e per questo fuori da tutto), dall'altra il campionario da cinicotv nel quale emerge Ciccio Mira, impresario di cantanti neomelodici che fanno furore nelle piazzette rionali siciliane, specie in una certa zona di Palermo, che è anche quella che più di tutte sostiene Berlusconi e Forza Italia. Si tratta di un mondo suddito di ogni fascino del potere, berlusconiano con serena spensieratezza e fiero oppositore dello stato a favore della mafia. Al centro di scandali giudiziari (con i loro ringraziamenti dal palco e i saluti ai carcerati si è scoperto che lanciavano messaggi in codice alla mafia) Mira si rivela la tipica vittima da Maresco, inchiodato dalle sue domande, svelato nelle sue umane codardie (inutile dire come reagisca alle domande sulla mafia) ma amato alla follia.
Che sia un film sui nostri tempi è audace da affermare, che sia un film sulla politica e lo stato del paese anche. La parte realmente potente di Belluscone è invece come riesca a ribaltare ogni prospettiva a partire dal grande (Berlusconi) per mettere in evidenza solo il piccolo (Mari e l'universo in cui vive), lo spirito, il piglio e taglio con cui dà un calcio ai temi più grandi e aderisce al più squallido, vigliacco e fastidioso dei sottoboschi, quello in cui si rintana Maresco (realmente lontano da tutto e tutti) perchè in fondo è comunque meglio quello di tutto il resto dello squallore.