Venezia 71 - Anime nere, la recensione

Storie di mafia trattate con gran rispetto del territorio (dialetto sottotitolato, ambienti reali e presenti, fedeltà al reale) che dimentica totalmente le sue premesse e il suo genere d'appartenenza

Critico e giornalista cinematografico


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Può un film essere "troppo italiano"? Si. E Anime Nere lo è.

Il film di Munzi racconta di mafia calabrese. C'è una famiglia composta da tre fratelli, ognuno con la propria famiglia: uno affarista vive al nord, uno è il rampante capetto molto in contatto con la gente (rimasto in loco ma moderno nello stile, quindi burino ed eccessivo) e l'ultimo è quasi un pastore, si è ritirato nei monti. A scatenare il film è l'inizio di una faida, il riemergere di vecchi contrasti che scatenano tensioni inespresse e latenti all'interno della famiglia. La guerra è fuori ma soprattutto dentro.

Con una trama così Anime nere poteva essere di tutto, dal Padrino fino a Gomorra, a seconda di stile, taglio e sguardo sui protagonisti, la scelta di Munzi invece è di indugiare su quelli che ad oggi sono i peggiori difetti che si riscontrano nel cinema italiano. Così il risultato è un'opera in cui il genere è rispettato pochissimo, è solo una parvenza che regge bene nelle prime scene ma lentamente si perde a favore dei personaggi (letteralmente lo sport preferito dei film italiani degli ultimi 10 anni). Purtroppo approfondire di più i personaggi è solo un'intenzione perchè in realtà nessuno è realmente affrontato nè si sente mai l'afflato dell'epica familiare. In questi casi a salvare il film ci dovrebbero pensare le regole del cinema di mafia, cioè (di nuovo) l'architettura del genere che però come detto qui manca o non è rispettata a favore di un intimismo drammatico, come se mancasse il coraggio (o anche solo la volontà) di andare fino in fondo con le premesse. Come se ci si vergognasse d'essere solo un film di mafia e si cercasse d'essere di più, di nobilitarlo con i silenzi.

In un territorio molto presente e significativo (l'Aspromonte), fotografato con colori plumbei, sembra che le esigenze di recitazione sostituiscano quelle di trama e che il rapporto con il paesaggio debba colmare il gap. Ci sono più scene di personaggi da soli nell'inquadratura che si disperano sbattendo i pugni a terra o di protagonisti che in macchina guardano il mare pensosi (vi ricordo che si tratta di ignoranti mafiosi della calabria, non di poeti) che dialoghi fulminanti, scambi di battute potenti o tutto quel che solitamente è usato nei film di mafia per rendere le "anime nere". Ci sono più dettagli di piccoli riti pagani sulla cima dei monti e momenti di canti e balli popolari che sparatorie dure o minacce o ancora di puro terrore dell'impotente contro il potente.

Per tutti questi motivi Anime nere è un film decisamente troppo italiano per raggiungere la sufficienza.

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