Venezia 71 - Anime nere, la recensione [2]

Ecco il primo film italiano in Concorso a Venezia 71: Anime nere di Francesco Munzi. Un gangster movie simile a Gomorra serie tv

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Ma la prima stagione della serie tv Gomorra non era finita?

Evidentemente c'era un'immensa coda sulla Salerno-Reggio Calabria.

Il primo film italiano in Concorso firmato da Francesco Munzi sembra un episodio lungo della fiction Sky ispirata al capolavoro di Matteo Garrone a sua volta liberissimo adattamento dal best-seller di Roberto Saviano.
Si sfregheranno le mani tutti quelli che, giustamente, sostengono oggi quanto il cinema stia subendo, in termini di creatività e livello espressivo, il costante innalzamento del prodotto seriale televisivo. Anche in Italia.
L'inseguimento è finito ragazzi. Ora si tratta di vedere SE il cinema riuscirà a tenere minimamente il passo della tv.
Che il primo film italiano in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia confermi questi pensieri dovrebbe far riflettere e forse anche un po' deprimere. A seconda dei punti di vista.

E' la storia di una famiglia calabrese di gangster. Tutti tranne uno: il veterinario primogenito che comincia come il protagonista dello spot anni '80 Amaro Montenegro per poi finire a sparare meglio di James Bond.

Lui è l'unico fratello che rifiuta la tradizione criminale di famiglia, abitando le montagne dell'Aspromonte come un forastico anacoreta distante da tutto e da tutti. Si chiama Luciano. E' anche molto religioso. Quasi fanatico.
Luigi, invece, è più bestiale e prosaico. Ha seguito le orme paterne ed è quello pronto anche a sparare, prendere a calci un cane per rubare un agnello da fare arrosto e ovviamente andare a donne. Lo interpreta Marco Leonardi, l'ex ragazzo innamorato dei film in Nuovo Cinema Paradiso. Un bel rientro per lui dopo avventure negli anni imbarazzanti come La sindrome di Stendhal (1996) o Maradona, la mano di Dio (2007).
Poi c'è il terzo fratello: Rocco, ovvero il ragioniere. Quello freddo, milanese d'adozione, sempre controllato, ovviamente con gli occhiali e che, se Luigi incontra gangster stranieri e si occupa di carichi di droga, preferisce contare mazzette di denaro mentre sigla accordi finanziari all'ultimo piano di un grattacielo in mezzo a gente in giacca e cravatta.

Il mistico (Luciano), la bestia (Luigi) e il cervello (Rocco).
Un pretesto che Hitchcock avrebbe chiamato macguffin costringerà i tre a tornare insieme, in Calabria, per affrontare, forse, una guerra con un altro clan.
Le donne stanno in disparte pregando a voce bassa e lamentandosi per dei tiri al bersaglio troppo rumorosi in cortile (tranne quella di Rocco: lei è una "milanese" altezzosa inutilmente interpretata da Barbora Bobulova, qui ai minimi termini ma non certo per colpa sua).

Mentre i maschi parlano in dialetto, si guardano in cagnesco e seguono pedissequamente la drammaturgia de Il padrino (il momento in cui il freddo Rocco prende il controllo della situazione è identico all'ascesa del refrattario e sofisticato Michael Corleone), Quei bravi ragazzi (la passione quasi infantile per il cibo e la preparazione dello stesso) e naturalmente Gomorra film (c'è una nuova generazione di ragazzini più scomposta e nichilista che non rispetta la tradizione) e serie tv (politica locale ovvero a chi fare la guerra e/o con quale clan allearsi).

Mai un guizzo di originalità, mai un momento che permetta al film di uscire da praterie ampiamente percorse e ripercorse da maestri del cinema come Coppola e Scorsese.

Che differenza c'è tra questo film e Iron Man 3?

Possiamo considerare questo prodotto audiovisivo come cinema d'autore?

Lo Stato? Carabinieri maleducati che sembrano passare lì per caso rovistando tra i cassetti dei malavitosi con una mancanza di rispetto che pare irritare molto Munzi.
I media? Una pagina di giornale accartocciata con forza forse perché lo sfortunato protagonista dell'articolo era stato definito con un limitativo: "Un pastore dell'Aspromonte".

Ma perché dovremmo appassionarci a qualcosa di già visto e rivisto mille volte, l'ultima delle quali poco tempo fa in televisione?

Anime nere è un gangster movie medio, cioè né bello né brutto, estremamente prevedibile, meccanico come un sequel senz'anima e noiosetto in tutti i suoi snodi narrativi fino a un finale sorprendente sì ma che lascia o l'amaro in bocca o una grande curiosità che non verrà mai esaudita (e questo sadismo, non ci piace per niente).
Come si può sviluppare un personaggio per tutto un film come lontano dalla violenza, critico nei confronti delle armi e totalmente contrario al mondo criminale della famiglia da cui proviene... e poi farlo sparare meglio di James Bond? Le cose sono due: o è un incredibile errore cinematografico (e non lo vogliamo proprio pensare per la stima nei confronti di Munzi) o il personaggio in questione nasconde un mistero appena svelato e bisognoso di uno sviluppo successivo in relazione all'importanza del colpo di scena appena sbattuto in faccia allo spettatore.

Ma Anime nere è un film. E non ci sarà un prossimo episodio che possa mettere a posto questo pasticcio.
E allora come si fa?
Dovremmo aspettare quella prossima puntata che non arriverà mai.

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