Venezia 71 - 99 Homes, la recensione
Ramin Bahrani torna al Festival di Venezia con 99 Homes, in cui Garfield e Shannon sono angelo e diavolo tentatore contemporanei
L'intreccio, come già detto, è a dir poco elementare: giovane puro e innocente irretito dal demonio di turno, ascende socialmente e, in parallelo, affronta la sua caduta come essere umano. Il tentato e il tentatore, nella fattispecie, hanno i volti - e i talenti - di Andrew Garfield e Michael Shannon, strana coppia che fa scintille sullo schermo dal primo all'ultimo fotogramma, anche nei - pochi, ma presenti - didascalici esercizi morali(sti). Bahrani recupera quindi una tematica a lui cara e già efficacemente raccontata nell'intenso At any price, in concorso al Lido due anni fa; lo fa non smentendo il suo stile registico coinvolgente e sincero, e regalando al pubblico almeno una scena memorabile - il primo, burrascoso incontro tra il cinico Shannon e il disperato Garfield.
Ciò che, gestito in modo poco più superficiale, sarebbe potuto essere un dramma mediocre e convenzionale, assurge grazie alla sapiente mano di Bahrani a tragedia classica, in cui gli elementi archetipici del dramma vengono reinterpretati in chiave moderna. La caduta dell'uomo onesto, nell'America della crisi, avviene per conquistare una misera casetta in mattoni, non certo l'immortalità o l'eterna giovinezza dei grandi eroi e antieroi letterari. I palcoscenici della catastrofe di 99 Homes non sono i campi di battaglia ma i cortiletti miseri e secchi delle periferie della Florida, dove il diavolo opera in camicia stirata, armato di carta e penna o, alla peggio, di cassetta degli attrezzi.È questa la forza costante e innegabile del cinema di Bahrani, ed è questa che fa perdonare i passaggi più ovvi della sua narrazione, perché il suo dramma stringe il cuore in una morsa che è fatta di quotidianità e di problemi che conosciamo, eternandoli però fuori dall'oggi come solo i grandi autori riescono a fare.