Venezia 70: Une Promesse, la recensione
Delude l'ultima prova registica di Patrice Leconte, basata su un triangolo amoroso tra Alan Rickman, Rebecca Hall e Richard Madden...
Avete presente la naftalina? Quella sostanza miracolosa e mefitica che tiene lontane le tarme e, per il tanfo che emana, anche buona parte del restante regno animale, esseri umani inclusi? Ecco, se il film di Patrice Leconte Une Promesse emanasse odore, sarebbe sicuramente quello.
Già, perché se La bottega dei suicidi (2012) partiva da uno spunto originale e bizzarro per precipitare rovinosamente nella palude dei cliché, ad Une Promesse non può essere concessa nemmeno l'attenuante della buona intenzione iniziale. Tutto è sciatto, trasandato, a partire dal soggetto, derivato da Stefan Zweig e trattato come un brutto episodio di una soap opera.
Si potrebbe definire Une Promesse un feuilleton cinematografico, ma sarebbe un mero eufemismo, se non addirittura un complimento: mancano infatti tutti gli ingredienti iperbolici, le tragedie con la T maiuscola, gli ostacoli che avrebbero reso questa insipida storia d'amore di certo più interessante. Si vola sempre basso, giocando ad imitare James Ivory senza dimostrare però la medesima capacità narrativa né, tantomeno, la purezza formale e l'accuratezza stilistica. Il risultato è un guazzabuglio ridicolo in cui si muovono goffamente attori di notevole caratura come Rebecca Hall e Alan Rickman, ingabbiati in ruoli che fanno rimpiangere i momenti più bassi delle telenovelas d'oltreoceano.
Una promessa per niente mantenuta, che delude una ad una tutte le aspettative che l'ingenuo pubblico cinefilo poteva riporre in questo film.