Venezia 70: Still Life, la recensione
Presentato nella sezione Orizzonti, l'opera seconda di Uberto Pasolini commuove e diverte grazie a una sceneggiatura brillante e a un'eccellente prova attoriale di Eddie Marsan...
Forse perché il binomio produttore-autore, in Italia, ha la stessa credibilità del binomio obeso-etoile della Scala. O forse perché, nel raccontare storie di uomini medi, gli inglesi da sempre ci superano di svariate leghe. O magari perché vedere finalmente un attore rodato e versatile come Eddie Marsan in un ruolo da protagonista assoluto scalderebbe anche il più algido cuore. Forse per questo, forse per quello, ma Still Life - presentato nella sezione Orizzonti del Festival di Venezia - è davvero una bella sorpresa, specialmente se comparato con i titoli per lo più dimenticabili in corsa per il Leone d'Oro.
Eddie Marsan, già ammirato nel ruolo di villain nel meraviglioso Tyrannosaur di Paddy Considine, interpreta John May, quarantenne londinese che si occupa di rintracciare parenti di persone defunte in condizioni di solitudine e, spesso, indigenza. Quando il suo viscido capo, incurante dei ventidue anni di onorato servizio di John, gli comunica l'imminente licenziamento, l'uomo decide di affrontare l'ultimo "caso" con un'attenzione tutta particolare.
Attorno a Marsan si muove una schiera di comprimari costruiti con sensibilità e intelligenza tutta britannica. Tra loro, la deliziosa Joanne Froggatt (Downton Abbey) in un ruolo costruito per conquistare il pubblico (nonché il protagonista). Ma non bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze: Still Life riserva svariati, piccoli colpi di scena, basati sul capovolgimento di alcune situazioni canoniche del cinema. E laddove le storie diventano "altro" rispetto alle aspettative del genere in cui vorremmo incasellarle, è lì che di tanto in tanto, come in questo caso, nasce la vera poesia.