Venezia 70: Locke, la recensione

Fuori concorso al Festival di Venezia, il secondo film di Steven Knight vede Tom Hardy protagonista assoluto di un viaggio in macchina che diventa bivio esistenziale...

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In un Festival costellato di protagonisti fragili e quasi mai vincenti, si staglia il protagonista del piccolo grande Locke di Steven Knight. Ivan Locke è un marito e padre felice, nonché responsabile rispettato e diligente in un'impresa di costruzioni. O almeno, è tutto questo fino a quando non sale in macchina, alla vigilia del giorno più importante della sua intera carriera, per recarsi a casa dove la moglie e i suoi due bambini attendono trepidanti di godersi insieme una partita di calcio assieme a lui.

Tuttavia, una volta in strada, Ivan devia dalla sua consueta traiettoria e intraprende un lungo viaggio in solitudine, accompagnato unicamente dalle voci delle telefonate che riceve di volta in volta da Dolan (Andrew Scott), suo collaboratore che si trova a doverlo sostituire all'ultimo momento, dalla moglie Katrina (Ruth Wilson), dal capo Gareth (Ben Daniels) e da Bethan (Olivia Colman), donna del mistero che Ivan sta cercando di raggiungere nel più breve tempo possibile, poiché con lei condivide uno scomodo segreto che rischia di mettere in discussione ogni sua scelta e di mandare in pezzi la sua vita perfetta. "La differenza tra una volta e mai è tutto", dice Katrina al telefono col marito. E Ivan, questa minuscola ed al contempo enorme differenza, dovrà pagarla ben cara.

Breve e lineare, Locke è un film assolutamente perfetto. La solida sceneggiatura usa metafore semplici e dirette, e l'alternanza dei vari personaggi invisibili che costellano il viaggio di Locke da Birmingham a Londra è gestita magistralmente. Non stupisce, dato che il passato sceneggiatoriale di Steven Knight può vantare script come Piccoli affari sporchi diretto da Frears e La Promessa dell'Assassino diretto da Cronenberg. Ma è la scelta registica a risultare l'elemento più estremo: Locke è stato infatti girato in tempo reale, senza stacchi da parte della macchina da presa - e presumibile esaurimento nervoso da parte del montatore.

Ad una performance memorabile di Tom Hardy (sigillo di un talento che, in realtà, non aveva da tempo più bisogno di nessuna conferma) fanno da cornice le voci di altri ottimi attori coinvolti in questo gioiello, tra cui spiccano Andrew Scott, già splendido Moriarty nello Sherlock della BBC, e Olivia Colman, consacrata dal formidabile Tyrannosaur di Paddy Considine.

Un magnifico affresco notturno e un ritratto umano esemplare, che mescola in modo sublime la cristallina moralità di Ivan e le ombre che oscurano il suo passato, spingendolo ad un dolente soliloquio-dialogo con lo spettro del padre, la cui assenza corporea nel veicolo è specchio straziato dell'assenza di un'intera vita.

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