Venezia 70: La mia classe, la recensione

Andando oltre il metacinema e il finto documentario Gaglianone narra senza pietà non solo l'immigrazione in Italia ma il rapporto che il cinema e le forme che la raccontano hanno con essa

Critico e giornalista cinematografico


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E' un documentario di finzione quello che Daniele Gaglianone imbastisce intorno ad una classe di immigrati che vogliono imparare l'italiano con il docente Valerio Mastandrea. Il film mette in scena il farsi del film stesso, cioè vediamo i fonici reali, il regista stesso che dialoga con Mastandrea e poi il loro prendere accordi per le scene e via dicendo, tutto con la medesima pulizia e stile registico con il quale subito dopo vediamo le scene recitate e non. Perchè La mia classe sostanzialmente mostra interazioni improvvisate tra immigrati che in questa classe finta discutono davvero, provano ad imparare l'italiano e così facendo raccontano se stessi e le loro difficoltà.

Non manca anche il momento, recitato, in cui uno di essi rivela di non avere più permesso di soggiorno e chiede aiuto al professore che, come il cinema italiano non manca mai di fare, essendo professore di italiano è in realtà una figura amica, solidale, buona, gentile e umanissima.

Insomma una melassa acquietata che parla al proprio pubblico per rassicurarlo delle proprie idee, rivolgendosi ad un tipo di spettatore già selezionato dal tema e quindi già della medesima opinione di chi ha girato. A questo pubblico La mia classe conferma tutto quello che già crede, senza risparmiare la rappresentazione di una società che cerca di essere buona attraverso la naturale simpatia di Mastandrea.
E' proprio per questa lunga serie di motivi che, quando poi il film prende un twist inatteso e mette in scena un intoppo nella realizzazione (probabilmente finto anch'esso ma fosse vero cambierebbe poco, l'importante è che sia parte del film) trova il suo vero senso.

L'imprevisto che coinvolge uno degli immigrati getta tutti nel panico, mette la troupe e la produzione di fronte all'idiosincrasia di fare un film del genere ma di non poter poi aiutare realmente chi ne ha bisogno, genera una certa dose di sfiducia anche negli altri immigrati presenti (che non si schierano con la troupe), in un attimo crea un conflitto tra chi è dentro e chi è fuori e porta Valerio Mastandrea a dire: "Ma quindi in sostanza quello che facciamo qui non serve a un cazzo?".

Nessuna polemica reale, è tutto parte del film. Ma nel riprende il farsi di un'opera simile e poi nel creare questo "incidente" Gaglianone una volta tanto porta il cinema dentro l'equazione, non gira solo un film sui problemi di integrazione degli immigrati ma uno che si chiede anche che ruolo abbia in questo il cinema con il suo tono solitamente acquiescente e quanto l'impegno sbandierato in trame buoniste regga l'impatto con la vera realtà delle cose.

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