Venezia 70: La Jalousie, la recensione

A due anni dai fischi di Un'estate bollente, Garrel torna al Lido con una delicata storia d'amore, impreziosita da un'ottima prova attoriale del cast...

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Ogni film è un gioco di squadra. Metaforicamente parlando, ogni elemento che lo compone, dal soggetto al montaggio finale, è un componente di una formazione, necessario ma suscettibile di sostituzione in base all'effettiva efficienza sul campo. Applicando questa simbologia sportiva al cinema di Philippe Garrel, si potrebbe dire che il cineasta francese è uno di quei testardi allenatori che continua a mettere in campo la stessa squadra, conscio del fatto che probabilmente non porterà a casa la vittoria, ma troppo ostinato per cambiare rotta.

Il suo ultimo lavoro, La Jalousie, presentato oggi al Festival del Cinema di Venezia, è un tassello in un mosaico monocromo. Non stona, nell'arco della sua carriera, conserva le tinte dei suoi lavori migliori che però, possiamo prevedere, non gli faranno portare a casa l'ambìto Leone d'Oro.
Il soggetto è riassumibile in: chi la fa, l'aspetti. Il film si apre con Louis, interpretato come di consueto dal figlio del regista, in procinto di lasciare la moglie per amore di Claudia, anche lei attrice. La coppia è innamorata e felice, almeno inizialmente, e la ragazza instaura un buon rapporto anche con la bambina di Louis, Charlotte. Ma la crisi è dietro l'angolo, anche se gli indizi vengono di volta in volta ignorati per il bene di quel grande amore a cui sia Claudia che Louis anelano disperatamente.

A chi ha ama il cinema di Garrel e, soprattutto, a chi ricorda Un'estate bollente, presentato disastrosamente due anni fa sempre a Venezia, questo La Jalousie piacerà parecchio. Pulito ed essenziale, riesce a non indulgere troppo nell'intellettualismo che - non neghiamolo - è un po' la costante dell'opera del regista francese. Una storia semplice, raccontata con garbo e sceneggiata con originalità, animata dalla bella performance di Anna Mouglalis nel ruolo di Claudia e dal convincente Louis Garrel, qui finalmente libero dall'annoiato narcisismo delle sue ultime prove e a suo agio specialmente nelle scene padre-figlia, tenere ma scevre da facili cliché.

Un film delicato e riuscito, dalle tonalità tenui sottolineate dalla scelta di un bianco e nero che richiama alla mente la Nouvelle Vague, rievocata con uno smalto inedito e fresco che mette al riparo la storia da qualsiasi melodrammaticità. C'è dolore, questo sì, ma il tocco di Garrel è sempre leggero, quasi stesse abbozzando un disegno a matita piuttosto che un quadro a olio con pennellate vivide e violente. Una scelta vincente che conferisce al film il fascino discreto di un racconto breve ma non per questo superficiale.

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