Venezia 70: Amazonia 3D, la recensione
Chiude la Mostra del cinema di Venezia un documentario naturalistico che per mostrare la biodiversità amazzone racconta le avventure di una scimmia di città con il linguaggio di Disney...
Girato in un 3D spettacolare e con la consueta abilità nel trovare immagini da mozzare il fiato che hanno i migliori documentari naturalistici, Amazonia 3D imbastisce una trama lieve lieve (una scimmia di città trasportata in un aereo precipita nella foresta amazzonica e si trova a confronto con la natura selvaggia e in un certo senso con il retaggio animale che la città ha soppresso in lei), per mostrare la biodiversità amazzone attraverso panoramiche, dettagli, primi piani e carrelli che hanno un respiro mostruoso e sanno farsi forza del 3D. In questo senso la prima panoramica che dalla foresta scopre Rio De Janeiro è uno dei movimenti di macchina migliori visti alla Mostra di Venezia.
Il modo infatti in cui Thierry Ragobert racconta gli eventi della sua storia è preso di peso dall'eredità disneiana in materia, quel tipo di linguaggio audiovisivo muto che è stato inventato e messo a punto dalla grande casa d'animazione. Del resto essendosi fermata al '27 l'evoluzione del linguaggio senza parole è evidente che il racconto di Amazonia 3D non possa che risultare vecchio stampo e un po' involuto.
Nonostante Ragobert sia bravissimo a sfruttare l'effetto Kulesov (un primo piano che si carica di paura o tensione o felicità a seconda di quale sia l'immagine che segue) e ad unire in un unico flusso immagini girate in maniera indipendente e probabilmente a giorni di distanza le une dalle altre, lo stesso il racconto di passione e liberazione di una scimmietta è la più convenzionale delle favolette e il meno sofisticato di documentari.
Roba per amanti degli animali.