Venezia 69: Shark 3D, la recensione
Davanti a certi prodotti non si può citare Lo Squalo di Spielberg, bisogna volare più basso, ma quando un film horror come Shark 3D arriva a far ridere non è del tutto da buttare...
Piranha 3d ha avuto un tale successo due anni fa (25 milioni di budget per 84 di incasso mondiale) che eccoci davanti al pronto rimescolamento del tutto, ovvero pesci pericolosi in tre dimensioni, rielaborato però in salsa australiana. Shark 3d è infatti prima di tutto un film che cerca di cavalcare un’onda commerciale che non ha altra ambizione se non quella di fare soldi.
Davanti a certi prodotti non si può citare Lo squalo di Spielberg come padre putativo, bisogna volare più basso, bassissimo nel caso di quest’opera co-scritta (coi piedi) e prodotta (coi soldi purtroppo) dal regista dei vari Highlander, Russell Mulcahy, che ha comunque un grande merito: è così brutta da fare ridere.
3D non giustificato e spesso fuoriluogo, intepretazioni pessime (fa piacere però rivedere il Jonathan Ke Quan del Tempio maledetto) e attenzione per i dialoghi degni della peggiore fiction Rai. C’è di tutto e di più (sempre in termini negativi) in questo film la cui presentazione al festival di Venezia ci fa per lo meno pensare al fatto che rispetto al Box Office 3d di Ezio Greggio dell'anno scorso, un passo avanti sia stato fatto...