Venezia 69: Shark 3D, la recensione

Davanti a certi prodotti non si può citare Lo Squalo di Spielberg, bisogna volare più basso, ma quando un film horror come Shark 3D arriva a far ridere non è del tutto da buttare...

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Piranha 3d ha avuto un tale successo due anni fa (25 milioni di budget per 84 di incasso mondiale) che eccoci davanti al pronto rimescolamento del tutto, ovvero pesci pericolosi in tre dimensioni, rielaborato però in salsa australiana. Shark 3d è infatti prima di tutto un film che cerca di cavalcare un’onda commerciale che non ha altra ambizione se non quella di fare soldi.

Un’ex guardia costiera si trova ad assistere alla morte del suo migliore amico quando questi va al posto suo a sistemare una boa senza rendersi conto che c’è uno squalo bianco in agguato. Passa un anno, e quel ragazzo un tempo un po’ sbruffone è dilaniato dal senso di colpa. Lavora in un supermercato e il caso vuole che pochi secondi dopo aver reincontrato la sua ex ragazza (sorella tra l’altro del migliore amico), uno tsunami distrugga la città e allaghi l’intero locale. L’unica salvezza è quella di salire sugli scaffali, anche perché cercare di uscire dalla sala è impossibile: nell’acqua si aggira uno squalo di tre metri e mezzo con un appetito senza fine...

Davanti a certi prodotti non si può citare Lo squalo di Spielberg come padre putativo, bisogna volare più basso, bassissimo nel caso di quest’opera co-scritta (coi piedi) e prodotta (coi soldi purtroppo) dal regista dei vari Highlander, Russell Mulcahy, che ha comunque un grande merito: è così brutta da fare ridere.

E non è poco se il film lo si vede con un po' di amici e lo schiamazzo in sala è consentito. E’ vero che come tutti gli horror che si rispettano c’è anche molta autoironia, ma alcune scelte di sceneggiatura sono così assurde da superare il limite del trash-demenziale. Dallo squalo delfino che salta e morde, all’orientale che si immerge nell’acqua ricoperto di cestini da biciclette a cui il pescecane fa giusto toc toc prima di ritirarsi, al caricamento dell’arma che sembra un liquidator, all’auto a tenuta stagna.

3D non giustificato e spesso fuoriluogo, intepretazioni pessime (fa piacere però rivedere il Jonathan Ke Quan del Tempio maledetto) e attenzione per i dialoghi degni della peggiore fiction Rai. C’è di tutto e di più (sempre in termini negativi)  in questo film la cui presentazione al festival di Venezia ci fa per lo meno pensare al fatto che rispetto al Box Office 3d di Ezio Greggio dell'anno scorso, un passo avanti sia stato fatto...

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