Venezia 69: Love is all you need, la recensione

Pierce Brosnan si conferma un ottimo attore in una commedia romantica, ma non banale, girata a Sorrento da Susan Bier...

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Difficile scrollarsi di dosso certe aspettative quando si vince un Oscar, c’è solo un modo per non rischiare di deludere il proprio pubblico ed è quello di realizzare un progetto già in partenza chiaramente meno ambizioso prima di rilanciarsi nuovamente con qualcosa di “sostanzioso”. E’ questo ciò che probabilmente avrà pensato Susanne Bier dopo essere stata premiata dall’Academy nel 2011 per In un mondo migliore.

Ecco quindi Love is All You Need, commedia allegra e colorata che pesca le mani dalla tradizione del cinema danese contemporaneo, ovvero le grandi riunioni di famiglia (da Festen a Melancholia) per declinarle al ritmo di battute e buoni sentimenti.

Siamo in Italia, a Sorrento per la precisione, dove due giovanissimi fidanzatini danesi aspettano le rispettive famiglie per celebrare il loro prossimo matrimonio. A lui è rimasto solo il papà, un businessman inglese troppo preso dal lavoro, per lei invece ci sono tutti e due i genitori, ma il padre ha appena reso nota la sua tresca con un’altra donna e la mamma ha appena finito un ciclo di chemioterapia che si spera le abbia definitivamente curato il cancro. E’ proprio quest’ultima la vera protagonista della storia, una bella donna con un cuore enorme, generosa, allegra, un po’ distratta forse, ma tremendamente dolce, qualità che sciolgono il cuore anche del papà del ragazzo, finalmente in grado di uscire emotivamente dalla perdita della moglie avvenuta ormai tanti anni prima.

Preso per quel che è, Love is All You Need è un ottimo “medio” prodotto. Ci solo elementi di dramma, ma tutto è approcciato in maniera così rapida e diretta che il tono generalmente scanzonato del racconto non ne risente. Del resto quando si sceglie la costiera amalfitana di primavera come location è chiaro che si voglia dare un senso di leggerezza a tutta la questione che parta già dalle immagini, cartoline di panorami che fa sempre piacere rivedere.

La sensibilità tutta danese della Bier nell’approcciarsi alle dinamiche di famiglia fa sì che tradimenti, delusioni e nuovi amori siano vissuti in maniera abbastanza “pratica”, (“tanto non sei cristiano, al massimo poi divorzi”), grottesca forse per noi italian, ma senza dubbio interessante (chissà come reagirebbe una nostra qualsiasi famiglia davanti la presenza al matrimonio dell’amante del papà della sposa). Pierce Brosnan sembra fatto apposta per il ruolo dell’uomo dei sogni e se la cava egregiamente così come la bravissima Trine Dyrholm, bella anche con la parrucca. Il risultato è un film che ha tutte le carte in regola per avere un buon risultato al botteghino, anche quello italiano.

Tra i tanti aspetti positivi ce n’è anche uno che vale la pena segnalare: per una volta l’Italia non è rappresentata secondo i soliti cliché del regista straniero in vacanza che ci fa apparire come il paese dei sogni e dei latin lover. I paesaggi inquadrati sono splendidi, ma non mancano gli scogli sporcati dalle tag di alcuni idioti così come l’unico italiano con un ruolo, che è gay (e non lo è in maniera macchiettistica per fortuna). Bene così.

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