Venezia 69: La Cinquième Saison, la recensione

Un film di fantascienza senza effetti speciali, ma con tanta potenza visiva e narrativa. La Cinquième Saison è uno dei migliori film in concorso...

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Per Kim Ki-Duk era Primavera, Estate, Autunno, Inverno... e ancora Primavera, per Mike Leigh era semplicemente Another Year, ma il ciclo delle stagioni è stato già in passato un impianto utile a dare una struttura ben precisa ad una storia cinematografica. Così accade anche nel film  La Cinquième Saison, l'ultimo episodio di una trilogia dedicata al rapporto conflittuale tra uomo e natura scritta e diretta dal duo Jessica Woodworth/Peter Brosens. Se con  Khadak ci ritrovavamo in mezzo alle steppe della Mongolia con un gregge misteriosamente decimato dalla peste e con Altiplano l’ambientazione era un altopiano delle ande peruviane avvelenato dal mercurio, questa volta il set sono le Fiandre e a morire è tutto, non solo gli animali e gli alberi, ma anche l’uomo.

La Cinquième Saison fa parte di quei straordinari film di fantascienza in grado di immaginare qualcosa di apocalittico e fuori dal comprensibile senza ricorrere all’effetto speciale, ma inserendo giusto un piccolo pressupposto narrativo, in questo caso l’ìmmotivato stop al succedersi delle stagioni. Nessuna primavera, d’estate nevica, i semi non germogliano e tutta la filiera agroalimentare si blocca senza che il futuro lasci presagire qualche cambiamento. Il genere umano non è in grado di pensare che le cose non possano migliorare, non si inizia subito con il razionamento delle scorte, ma si tentenna e si perde tempo. Woodworth e Brosens ci raccontano tutto questo in maniera più che mai secca, senza regalare nulla allo spettatore in termini di morale o di semplificazioni. Ognuno può interpretare ciò che vede come vuole, ma è chiaro che l’idea che la maggior parte degli spettatori ci vedranno una vendetta di una terra ai giorni nostri continuamente abusata e maltrattata.

Il film manca di un vero protagonista “umano”, è l’intera collettività di abitanti del posto sotto la lente d’ingrandimento, sono loro intesi come umanità a dovere tramontare su di una terra che sicuramente continuerà ad esistere anche in futuro, magari popolata da altre forme di vita in grado di adattarsi alla nuova situazione, cani, animali, alieni o struzzi che siano, loro sì, vera quinta stagione di un mondo che cambierà come non abbiamo idea. In quest’ora e mezzo di splendide immagini tristi come solo la desolazione della morte della natura può suggerire c’è anche spazio per qualche gag piena di umorismo paradossale come la chiacchierata iniziale tra un fattore e un gallo. Non sarà un film per tutti, un po’ di noia sarà normale provarla almeno prima dello splendido finale, ma quello di Woodworth e Brosens è cinema di rara potenza e ricerca sia nella forma che nei contenuti da promuovere senza se e senza ma.

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