Venezia 69: Fill the Void, la recensione

Nel film di Rama Burshtein gli ebrei ortodossi vengono osservati dall’interno attraverso un dramma familiare che vive di sfumature...

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Non sono molti i film che arrivano da noi che riguardano la comunità degli ebrei ortodossi in Israele. In generale proprio gli ebrei ortodossi difficilmente appiono al cinema in ruoli principali, tanto che se dovessimo buttarci di getto sull’argomento ci verrebbero in mente solo il bel Un’estranea tra noi con Melanie Griffith girato da Jonathan Demme nel 1991 che comunque era ambientato a New York o il drammaticamente grottesco Train de Vie di Radu Mihaileanu. D’ora in poi, grazie a Fill The Void (comprato in Italia dalla Lucky Red) questa “mancanza” potrà essere colmata.

Siamo a Tel Aviv dove una famiglia viene dilaniata dalla morte improvvisa di una delle due figlie poco prima che metta alla luce il proprio bambino. C’è il rischio che il genero ormai rimasto vedovo si trasferisca a Bruxelles portandosi con sé anche il nipotino e così la nonna cerca di combinare un nuovo matrimonio al ragazzo, stavolta però con l’altra figlia (che è appena diciottenne). Ma lei che ne pensa? E’ pronta a passare dal ruolo di zia a quello di madre promettendo di passare il resto della propria vita con un uomo abbastanza più grande di lui e che, oltretutto, neanche la ama?

Fill the Void è girato dalla regista Rama Burshtein ed è un film più che mai “al femminile”. Gli uomini sembrano sempre sullo sfondo delle scelte, bravi giusto a chiedere soldi al rabbino nel giorno del Purim o a scegliere moglie, sono completamente assenti dalla vita domestica. In una società complessa e dalle tradizioni millenarie come quella ortodossa ebraica ogni cambiamento e relazione sociale vive di piccoli passi d’avvicinamento, niente è mai drastico e le apparenze continuano ad avere un valore imprescindibile per l’equilibrio generale della comunità.

Mostrato questo e mostrato come anche nel 2012 in Israele i matrimoni possano continuare ad essere combinati, Fill the Void ha poco altro da offrire, né un’immagine particolarmente bella né un guizzo di sceneggiatura che sorprenda o dica qualcosa di più di quello che ci si aspetta dopo una mezz’ora di visione. Il risultato? Noia a palate.

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