Venezia 69: Fill the Void, la recensione
Nel film di Rama Burshtein gli ebrei ortodossi vengono osservati dall’interno attraverso un dramma familiare che vive di sfumature...
Non sono molti i film che arrivano da noi che riguardano la comunità degli ebrei ortodossi in Israele. In generale proprio gli ebrei ortodossi difficilmente appiono al cinema in ruoli principali, tanto che se dovessimo buttarci di getto sull’argomento ci verrebbero in mente solo il bel Un’estranea tra noi con Melanie Griffith girato da Jonathan Demme nel 1991 che comunque era ambientato a New York o il drammaticamente grottesco Train de Vie di Radu Mihaileanu. D’ora in poi, grazie a Fill The Void (comprato in Italia dalla Lucky Red) questa “mancanza” potrà essere colmata.
Fill the Void è girato dalla regista Rama Burshtein ed è un film più che mai “al femminile”. Gli uomini sembrano sempre sullo sfondo delle scelte, bravi giusto a chiedere soldi al rabbino nel giorno del Purim o a scegliere moglie, sono completamente assenti dalla vita domestica. In una società complessa e dalle tradizioni millenarie come quella ortodossa ebraica ogni cambiamento e relazione sociale vive di piccoli passi d’avvicinamento, niente è mai drastico e le apparenze continuano ad avere un valore imprescindibile per l’equilibrio generale della comunità.