Venezia 69: Betrayal, la recensione

Betrayal: quasi due ore di durata per un bel dramma a tinte noir che conferma tutte le qualità del regista Kirill Serebrennikov...

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Lui, lei, entrambi traditi dai rispettivi coniugi. Li trovano, li imitano, ma il dolore rimane e decidono di fare qualcosa di irreparabile, qualcosa che li legherà per sempre l’uno all’altro, ben più di un segreto, ma un’esigenza carnale che anche a distanza di anni non li fermerà davanti a nulla...

Betrayal è un film russo e come quasi tutti i film russi di livello ha una fotografia bellissima, di quelle che da sole valgono mezz’ora di visione del film. Un’altra mezz’ora li vale la sua regia, davvero avvolgente per la bellezza di alcune sequenze (il bagno in piscina su tutte), tanto perfette nelle geometrie che verrebbe voglia di applaudirle a parte, anche durante il film.

Rimangono ancora da giustificare sessanta minuti di film per questa recensione “algebrica”: Betrayal dura infatti quasi due ore. Dieci minuti (del resto il suo personaggio non dura di più) li vale da sola la bellezza di Albina Dzhanabaeva, cantante russa di successo qui attrice nei panni della moglie fedifraga e va bene che la bellezza non è un metro di paragone per un film, ma in questo caso la sua avvenenza diventa un filo conduttore di tutta l'opera, da sola giustifica la pazzia del marito ed il suo non volere credere al suo tradimento quasi davanti ad ogni prova contraria.

Anche la performance di Franziska Petri, vera femme fatale del tutto, è di tutto rispetto, così fredda, latamente pazza e allo stesso modo più che mai interessante. Diamole dieci minuti, ne mancano quaranta. E sono quasi tutti giustificati da una sceneggiatura che tiene sempre sulle spine, non ripete mai due volte qualcosa che si potrebbe già intuire da qualche dettaglio, non si preoccupa di essere sempre logica e credibile, ma lavora molto su metafore e metafore (splendida la circolarità del discorso sul cuore, la cardiologia ed il crepacuore), come se ci si trovasse davanti a un thriller fatto di tanti piccoli episodi.

E così quella che potrebbe essere lentezza diventa tensione, e ogni immagine o dettaglio è da osservare e memorizzare, visto che prima o poi tornerà a essere utile per capire cosa stia succedendo.

Il regista Kirill Serebrennikov del resto non è mai stato un tipo banale e lo confermano i tanti premi ricevuti negli ultimi anni (lui ha 36 anni), primo premio al Festival di Roma 2006 con Playing the victim e Premio Giuria dei Giovani e altri riconoscimenti al Festival di Locarno con Yuri’s Day. E’ uno da tenere d’occhio, anche se non dovesse ricevere nessun premio al Festival di Venezia di cui ha avuto quantomeno l’onore di aprire il concorso ufficiale.

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