La Vendetta di un Uomo Tranquillo, la recensione

Un piccolo terremoto nel genere del cinema di vendetta, La Vendetta di Un Uomo Tranquillo, cambia gli addendi e così scombina tutto con classe

Critico e giornalista cinematografico


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Ci sono due film in uno dentro La Vendetta Di Un Uomo Tranquillo e la maniera in cui dialogano è ciò che anima l’atmosfera di una vita vissuta senza poterla mai godere.
Il cinema di vendetta, quello classico, è fatto di tensione e rilascio, cioè di una terribile vendetta perpetrata, cercata e bramata lungo tutto il film che ha senso in virtù di una tensione solitamente accumulata in anni. Tra l’atto che motiva la vendetta e il tentativo di perpetrarla che seguiamo c’è sempre un’interruzione, del tempo che è passato e in cui è stato covato rancore. Quel tempo è spesso saltato, suggerito, implicato, La Vendetta di Un Uomo Tranquillo invece lo rende esplicito e lo indaga.

Dopo una rapina andata male (ma il pianosequenza che la mostra è bellissimo) in cui muore la moglie del protagonista, questi tenta di rifarsi una vita, lasciando però che dentro di lui monti la rabbia per l’evento. Questo periodo in cui vagare, cercare altre persone con cui poter stare, altre vite possibili da vivere e una specie di scampo dalla persecuzione di quegli eventi tragici, è il corpo principale del film, prima che tutto, inevitabilmente (lo sappiamo da subito che accadrà) precipiti di nuovo. Il thriller e la violenza si annidano in agguato lungo tutto il dramma, in attesa di tornare inevitabilmente, e la maniera in cui esiste la latente sensazione di un mondo violento in agguato è una conquista filmica meravigliosa. Impressionante per un esordiente.

Perché per il resto La Vendetta Di Un Uomo Tranquillo sa essere convenzionale con stile, recitato benissimo (Raul Arévalo è al primo lungometraggio da regista dopo una carriera da attore a ottimi livelli) e dotato di quella sintesi di scrittura indispensabile per un racconto audiovisivo godibile. Smarcandosi dalla scansione naturale del thriller di vendetta come lo conosciamo, Arévalo scopre un anfratto nella sua storia che solitamente rimane in ombra. Il suo film non manca nemmeno un clichè ma scambia l’ordine di importanza degli elementi della storia e così facendo cambia sguardo, sui soliti eventi. Come se potesse vedere tutto da un’altra prospettiva, crea un ambiente e un mondo in cui la vendetta non è più una radicale scelta morale, o un modo molto cool di indirizzare la propria vita, ma diventa un atto di vigliaccheria e autoflagellazione.

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