La Vendetta di un Uomo Tranquillo, la recensione
Un piccolo terremoto nel genere del cinema di vendetta, La Vendetta di Un Uomo Tranquillo, cambia gli addendi e così scombina tutto con classe
Il cinema di vendetta, quello classico, è fatto di tensione e rilascio, cioè di una terribile vendetta perpetrata, cercata e bramata lungo tutto il film che ha senso in virtù di una tensione solitamente accumulata in anni. Tra l’atto che motiva la vendetta e il tentativo di perpetrarla che seguiamo c’è sempre un’interruzione, del tempo che è passato e in cui è stato covato rancore. Quel tempo è spesso saltato, suggerito, implicato, La Vendetta di Un Uomo Tranquillo invece lo rende esplicito e lo indaga.
Dopo una rapina andata male (ma il pianosequenza che la mostra è bellissimo) in cui muore la moglie del protagonista, questi tenta di rifarsi una vita, lasciando però che dentro di lui monti la rabbia per l’evento. Questo periodo in cui vagare, cercare altre persone con cui poter stare, altre vite possibili da vivere e una specie di scampo dalla persecuzione di quegli eventi tragici, è il corpo principale del film, prima che tutto, inevitabilmente (lo sappiamo da subito che accadrà) precipiti di nuovo. Il thriller e la violenza si annidano in agguato lungo tutto il dramma, in attesa di tornare inevitabilmente, e la maniera in cui esiste la latente sensazione di un mondo violento in agguato è una conquista filmica meravigliosa. Impressionante per un esordiente.