Vendetta: guerra nell'antimafia, la recensione

In 6 episodi Vendetta: guerra nell'antimafia fa la cronaca di cosa è successo in 15 anni di accuse interne al movimenti antimafia siciliano

Critico e giornalista cinematografico


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Vendetta: guerra nell'antimafia, la recensione

Ci sono tanti linguaggi diversi dentro Vendetta: guerra nell’antimafia. C’è molto lontana e latente l’idea dello scontro di due individui per un principio etico e morale del western, c’è l’intrigo da spy-movie, fatto di documenti da recuperare, video manipolati, testimonianze che a sorpresa vengono ribaltate e poi, a dargli grandissima personalità, c’è qualcosa di molto più basso che sta nelle immagini di copertura, un mondo fatto di pizzi e maschere appese al muro, di uffici dentro le abitazioni, vanità provinciali, amanti nascoste e piccolezze da tinello. È una grande storia che è finita più volte sui giornali e telegiornali ma che ha anche dimensioni da rivalità paesana. Tutto insieme, il grande e il piccolo, raccontano dell’ambiguità di quello che solitamente è santificato (l’antimafia) e come le piccinerie umane, amplificate dalle notizie e dall’ambiente in cui avvengono, inquinano ciò di cui parliamo quando parliamo di mafia.

La prima puntata attacca in modo formidabile con la storia di Pino Maniaci, giornalista integerrimo di Telejato, televisione più che locale, a diffusione quasi comunale, totalmente a conduzione familiare. Si autodefinisce un baluardo dell’antimafia e fa servizi sulle storture della mafia. Addirittura nel 2006 lo vediamo lanciarsi con tutta la famiglia in auto a fare lo scoop dell’arresto di Bernardo Provenzano. Come fosse una gita fuori porta. Tutto fatto in casa, tutto provinciale nella realizzazione ma anche tutto molto serio negli intenti e nella presa di posizione, ferma e incrollabile.

Dall’altra parte c’è Silvana Saguto, giudice dell’antimafia, una che viene presentata con un riassunto di momenti della sua vita tipico dei reality di alto profilo, in cui i concorrenti sono introdotti per ellissi. Tra le altre cose, la vediamo a casa e poi sparare al poligono (cosa che tornerà utile più avanti.
Tutte le sei puntate della serie elaboreranno 15 anni di vita di queste due persone e soprattutto gli ultimi 5 di lotta nelle aule di tribunale con la reciproca accusa di vicinanza alla mafia, in continuo di attacchi, vittimismi, bugie e testimonianze davanti al giudice di sorprendente codardia.

Quello tra Maniaci e Saguto è un conflitto che sarebbe possibile ricostruire anche solo tramite i giornali (e dei notiziari la serie fa ampio uso), ma Vendetta: guerra nell’antimafia offre un livello di lettura diverso. Seguendo passo passo entrambi i coinvolti nei due processi, i loro svolgimenti, le accuse e le scoperte, emerge già dalla seconda puntata un conflitto che è quello basilare dei nostri anni: quello tra potere e antipotere. La giudice Silvana Saguto è stata tra le principali artefici dei provvedimenti di sequestro dei beni della mafia, mentre Pino Maniaci tramite la sua Telejato ha condotto numerose, insistenti e martellanti battaglie contro questi provvedimenti per via dei frequenti errori che a suo dire avevano colpito normali imprenditori. Maniaci sosteneva che ci fossero infiltrazioni mafiose nella magistratura. Silvana Saguto che Maniaci fosse al soldo della mafia.

L’antipotere accusa i potenti di essere corrotti; i potenti accusano l’antipotere di essere populista e non diverso da chi attacca. Il documentario, nel mezzo, fa un lavoro ammirabile sul dubbio e mostra una realtà in cui capire dove sia la ragione, ma anche solo quale sia la verità, è molto complicato. Ognuno è presentato come potenzialmente colluso con la mafia, e anche le persone vicine ai due protagonisti suonano, parlano e dicono frasi che facilmente abbiniamo a comportamenti mafiosi. È presto evidente che bisogna dubitare di tutto e questo esercizio, praticato di puntata in puntata, crea un enigma da sciogliere la cui risposta è la complessità della realtà. Siamo partiti con delle etichette sui personaggi e finiamo capendo che non potranno mai essere solo o colpevoli o innocenti. Nessuno si comporta in maniere irreprensibili e l’unica soluzione è circoscrivere le accuse e non stabilire se siano buoni o cattivi ma se abbiano compiuto solo l’illecito di cui sono accusati.

Siamo abituati all’idea che una serie documentaria, più di un film documentario, sia uno scavo per arrivare ad una verità o ad un segreto. Sia il segreto delle vittorie di Michael Jordan, sia la verità dietro il processo a O. J. Simpson. Invece Vendetta: guerra nell’antimafia spesso sembra disinteressarsi dell'indagine intorno alle accuse e invece inseguire le implicazioni delle indagini, l'opinione pubblica e il ganglo di complessità delle linee di difesa. Insomma quello che dice è l’esatto contrario delle classiche serie documentarie: che la verità è coperta da così tanti atteggiamenti umani e contraddittori, così tanti strati di segreti e difetti personali che possiamo accontentarci solo di una sua approssimazione e considerarci fortunati. Il mondo in cui questa serie scava lo riconosciamo ma invece che andare verso le certezze tutto sembra procedere verso i dubbi. E alla fine nonostante arriviamo a delle sentenze (di primo grado) quello che rimane nell’aria è l’idea che qualsiasi cosa sentiremo da oggi in poi riguardo quel mondo non sarà che una vaga approssimazione della realtà. E che la stessa idea di "mafia" dietro quelle accuse sia tutta da mettere in questione.

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