Velvet Buzzsaw, la recensione

Con un impianto teorico impeccabile ma pochissima capacità di svilupparlo, Velvet Buzzsaw è il gemello di Lo Sciacallo - Nightcrawler

Critico e giornalista cinematografico


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Il successo è un’ossessione, è qualcosa che ti entra negli occhi e che si vede negli occhi, spalancati, ossessionati, malati. Ciò che per tanti autori americani è la scintilla che rende l’America quel che è, il desiderio di avere successo associato alla tenacia utile a conquistarlo, per Dan Gilroy è una malattia, una psicosi che si impadronisce degli esseri umani e li deforma fino a renderli irriconoscibili, fino ad ucciderli prima dentro e poi fuori. Velvet Buzzsaw è il doppio di Lo Sciacallo - Nightcrawler, un film gemello che cambia genere (quello era thriller questo è horror) ma parla del medesimo argomento.

L’ossessione non è più filmare e fare soldi riprendendo la morte, ma commerciare arte e in particolare un set di opere strane, trovate per caso, calamitanti per chiunque le guardi e, lo scopriamo verso metà film, mortali. Galleristi, critici d’arte, pittori in erba entrano nell’orbita di questi quadri senza uscirne. Il mondo dell’arte è pura imprenditoria ma queste opere sembrano sconvolgere tutti. Come in Lo Sciacallo - Nightcrawler quando certe immagini attraversano la nostra retina non siamo più gli stessi.

Velvet Buzzsaw non vuole parlare di arte però, il suo argomento non è quello di cui tutti si riempiono la bocca, è invece un film sulla falsa riga di Christine - La Macchina Infernale, in cui qualcosa contagia e cambia le persone, le possiede ad un livello tale da diventare mortale.

L’impianto teorico è insomma molto chiaro, ma il film è molto meno godibile di quel che potrebbe lasciar pensare la prima metà in cui una la gran cura di Gilroy introduce un film che non ingrana mai, come del resto Nightcrawler, perfetti in teoria, vuoti nella pratica.

Velvet Buzzsaw incarna infatti esattamente il tipo di produzione che con sempre maggiore difficoltà trova la strada per le sale e che invece fa la felicità di piattaforme come Netflix (che nel caso specifico la distribuisce) perché né sufficientemente d’autore né sufficientemente commerciale, quella via di mezzo che una volta era l’oggetto del desiderio del boxoffice e degli Oscar (qualche star, una trama accattivante, un tema di cui discutere, uno svolgimento imprevedibile che divide) e oggi invece diventa tv di qualità. Peccato che ne sia un esempio molto lontano dall’essere memorabile.

Come è facile intuire i personaggi spingeranno queste ossessioni senza sapere quando fermarsi e vedremo una declinazione insapore di un horror di rapido consumo, fatto senza nemmeno il beneficio di crederci davvero, senza sporcarsi le mani. Un film che promette impegno senza troppo impegno, tramite una serie di morti creative che addirittura strizzano l’occhio all’arty horror più deprecabile.

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