The Vanishing Soldier, la recensione | Locarno76

In mezzo alla striscia di Gaza un ragazzo decide di disertare, vaga e trasforma The Vanishing Soldier nell'opposto dell'Odissea

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di The Vanishing Soldier, il film in concorso al festival di Locarno 76

Un soldato israeliano sulla striscia di Gaza non ce la fa più. È un ragazzo, come mille altri, ma non ce la fa più. Appena il film inizia il suo corpo smette di combattere e inizia a desiderare altro. Durante una fuga appositamente rimane indietro, appositamente si perde e inizia a scappare dalla controparte per non essere catturato. Non capiamo benissimo inizialmente cosa lo spinga, se si sia perso davvero o appositamente, cerca i suoi genitori, abbandona il mitra, trova abiti civili e una bici. La sua fuga termina in un ristorante in cui c’è lei. Ecco The Vanishing Soldier poteva facilmente essere un film antimilitarista classico, come molti altri, se non fosse che loro due, Ido Tako e Mike Reiss, recitano così bene che di colpo ci è tutto chiaro. Si dicono qualcosa con le parole ma conta solo quel che si dicono con gli sguardi e la lingua del corpo, si desiderano un’ingenuità così vitale ed eccitante che non c’è bisogno di spiegare altro. ll soldato Shlomi vuole vivere. 

Da quel momento The Vanishing Soldier ha la grande idea di ribaltare l’Odissea di Omero: il peregrinare di un personaggio che desidera perdersi mentre tutto il mondo intorno a lui e tutte le persone che incontra cercano di spedirlo a casa, cioè in caserma. I militari lo credono rapito, sta succedendo un casino, la televisione non parla d’altro. Ma almeno per metà storia la sua aria è così ottimista, così felice di quello che ha capito di aver conquistato mentre attraversa in bici una città in cui la guerra è ovunque, gli allarmi bomba fanno gettare le persone per terra e ogni angolo gli ricorda che ha disertato. The Vanishing Soldier per mostrare che la guerra è ovunque, è un’ossessione collettiva con cui tutti convivono, utilizza un protagonista che è ossessionato dal fatto che lo scoprano, dai militari, da quello che accade al fronte per colpa sua e che nota ogni dettaglio militare nella vita cittadina.

La forza incredibile di Dani Rosenberg (che scrive e dirige tutto) sta di incanalare il meglio di film come Victoria e concentrarsi sulla direzione degli attori (tutti, anche la bambina piccola che non vuole dormire), trasformando questa giornata in giro a scappare dall’autorità in una riconquista di vita così ordinaria da includere anche l’umorismo involontario della quotidianità. Che desiderio di vita esprime Ido Tako mentre corre per tutto il film cercando come può di non andare da nessuna parte! Con quella faccia sempre in bilico tra senso di colpa e desiderio di non tornare alla vita militare potentissimo, anima un contrasto vivo e irrisolvibile se non dalle pulsioni elementari che spingono verso la vitalità. Che mondo terrorizzato dai militari che recita la madre (e che attrice Efrat Ben Tzur!), con un pugno di scene si afferma come un personaggio solido, una donna incrollabile e proprio per questo la sua preoccupazione subito smodata ci terrorizza. Che dolcezza la nonna che probabilmente non ci sta più con la testa.

Queste tre donne che il protagonista incontra (nonna, madre, fidanzata) sono le controparti della vita di questo militare che non vuole più essere un militare, ma che sa anche che il suo desiderio in Israele è la cosa più pericolosa che ci sia. Eppure lo stesso vuole vivere, baciare, scappare, rubare, mangiare, abbracciare come nel teen movie più adulto e rischioso possibile. Anche davanti ai morti che le rappresaglie del suo esercito mietono, convinti lui sia stato rapito (perché di certo non può aver disertato, no?!). The Vanishing Soldier se lo vuole (e lo vuole!) è libero di essere un film su un paese che vive come fosse al fronte, ma più sotto, più in profondità, intimamente e umanamente, che lo sappia o no è un film sulla carne, fatto di spaghetti succhiati e peschi rosicchiati, di baci, mutande, cosce, lacrime, carezze pettorali e corse a perdifiato. Il genere più difficile, quello che non parla con la nostra testa ma si rivolge dritto ai nostri corpi.

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