Val, la recensione | Cannes 74

Benedetto da immagini e dietro le quinte eccezionali, Val riesce a fare l'uso peggiore di materiale eccezionale

Critico e giornalista cinematografico


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Val, la recensione | Cannes 74

Raramente si è visto un uso così pessimo di materiale così buono.

Val Kilmer ha filmato quasi tutta la sua vita. Ha iniziato a 15 anni il fratello, Wesley, che aveva velleità da regista e poi quando Wesley è morto tragicamente, ha continuato Val. Cambiando supporti a seconda delle epoche (prima il Super8, poi il Betacam, poi le VHS e poi il digitale fino agli smartphone) Val Kilmer ha accumulato un archivio immenso con la vita in famiglia, i primi spettacoli a scuola e i premi come attore alle recite, poi la Juilliard (la prestigiosa scuola di New York) e gli spettacoli con i giovani Kevin Bacon e Sean Penn fino agli esordi al cinema (Hot Shots!) e i set più importanti da Top Gun a Tombstone passando per Batman e The Doors.

Tutto questo materiale eccezionale che attraversa le decadi, la storia del cinema e soprattutto le varie forme del corpo del suo soggetto come fosse un Boyhood privato, i registi Ting Poo e Leo Scott non fanno altro che metterlo in fila, assecondando il protagonismo sfrenato di Val Kilmer.

Non c’è da meravigliarsi del fatto che un attore non veda che se stesso ovunque ma è impensabile che anche i registi, in questa storia, non vedano che il primo livello, cioè le traversie della vita e della carriera del proprio soggetto. Addirittura Poo e Scott girano molte immagini oggi, con Val Kilmer e il figlio, per raccontare come lui sia stato colpito da un cancro alla gola che gli impedisce di parlare bene e quindi di lavorare. Un materiale interessante all’inizio, pedante poi e sfiancante alla fine, che già dopo poco non aggiunge niente e massacra la narrazione.

Così facendo non è sicuramente un documentario cinefilo Val, nel senso che non vuole o non sa approfondire nulla dei film che racconta e del cinema che mostra; semmai è un documentario privato, ma anche la vita di Val Kilmer (con divorzi figli, bancarotta ecc. ecc.) è sorvolata e blandita. Più che altro allora è un documentario usato dallo stesso Kilmer per saldare dei conti, raccontarsi come un attore indefesso, leggere la sua carriera come gli pare (denigrando Hot Shots, marginalizzando Batman ed esaltando The Doors), rispondere a chi lo ha accusato negli anni di essere uno con cui è impossibile lavorare, screziare addirittura il grande John Frankenheimer per i problemi di L’isola perduta e infine mostrarsi come il grandissimo attore mai considerato davvero per le sue eccezionali doti da un sistema che lo vedeva in una sola maniera.

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