Val, la recensione | Cannes 74
Benedetto da immagini e dietro le quinte eccezionali, Val riesce a fare l'uso peggiore di materiale eccezionale
Raramente si è visto un uso così pessimo di materiale così buono.
Tutto questo materiale eccezionale che attraversa le decadi, la storia del cinema e soprattutto le varie forme del corpo del suo soggetto come fosse un Boyhood privato, i registi Ting Poo e Leo Scott non fanno altro che metterlo in fila, assecondando il protagonismo sfrenato di Val Kilmer.
Così facendo non è sicuramente un documentario cinefilo Val, nel senso che non vuole o non sa approfondire nulla dei film che racconta e del cinema che mostra; semmai è un documentario privato, ma anche la vita di Val Kilmer (con divorzi figli, bancarotta ecc. ecc.) è sorvolata e blandita. Più che altro allora è un documentario usato dallo stesso Kilmer per saldare dei conti, raccontarsi come un attore indefesso, leggere la sua carriera come gli pare (denigrando Hot Shots, marginalizzando Batman ed esaltando The Doors), rispondere a chi lo ha accusato negli anni di essere uno con cui è impossibile lavorare, screziare addirittura il grande John Frankenheimer per i problemi di L’isola perduta e infine mostrarsi come il grandissimo attore mai considerato davvero per le sue eccezionali doti da un sistema che lo vedeva in una sola maniera.
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