V for Vendetta
In un futuro prossimo imprecisato, l’Inghilterra è governata da un regime dispotico, che ha annullato le libertà civili dei cittadini. Dalla graphic novel di Alan Moore e David Lloyd, un prodotto interessante, ma non certo il capolavoro di cui si favoleggia…
D’altronde, il film ha parecchi problemi, peraltro facilmente inquadrabili. In primis, l’esordiente James McTeigue (aiuto regista di Matrix e di Star Wars – Episodio II), non sembra adeguato alla grande responsabilità ricevuta, anche se non per i motivi che mi sarei aspettato. Infatti, prevedevo un film patinatissimo e pieno di scene d’azione nel classico stile Matrix, fatti di ralenti e bullet time. Invece, McTeigue (a parte un paio di momenti) si contiene molto e mantiene uno stile asciutto, come se volesse concentrarsi soprattutto sulla storia e i personaggi, ma a tratti dando l'impressione di essere intimidito dalla materia trattata. Scelta lodevole, ma che presenta diversi difetti. Intanto, uno spettatore minimamente preparato avrà già visto nella sua vita decine di futuri alternativi, più o meno riusciti. E’ ovvio quindi che c’è bisogno di un po’ di originalità e di idee nuove, ma i creatori di questo film non sembrano avere intenzione di rischiare molto in questo senso.
Addirittura, la fotografia di Adrian Biddle, che si è fatto un nome grazie alle pellicole di Ridley Scott, è forse l’aspetto più deludente del film, per come sembra uscire da qualche banale serial televisivo. Se pensiamo al look (molto spoglio e triste) del fumetto originale (che peraltro viene seguito abbastanza fedelmente) è difficile non rimanere perplessi. D’altronde (e questa è stata forse una scelta saggia), il senso di oppressione e miseria della graphic novel di Alan Moore viene rimpiazzato da un benessere diffuso nella popolazione. Come dire, il popolo accetta la privazione delle libertà personali, basta dargli un televisore gigante e una macchina adeguata.
Il problema dei Wachowski è che sono troppo innamorati dei complotti, tanto da aggiungere una sottotrama sull’elite al potere e sul modo in cui ha raggiunto questa posizione, che francamente funziona poco. D’altronde, tutta la pellicola è fatta di alti e bassi. La carrellata sulle porte delle celle dove sono rinchiusi i prigionieri è magnifica, ma i campi di concentramento sono una metafora fin troppo evidente e banale del nazismo, così come i comizi elettorali (molto hitleriani) di Adam Sutler.
Insomma, doveva essere una rivoluzione e invece è solo di un ballo. Ma forse è il ballo la cosa veramente importante…