V for Vendetta

In un futuro prossimo imprecisato, l’Inghilterra è governata da un regime dispotico, che ha annullato le libertà civili dei cittadini. Dalla graphic novel di Alan Moore e David Lloyd, un prodotto interessante, ma non certo il capolavoro di cui si favoleggia…

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V for Vendetta è il miglior adattamento delle opere di Alan Moore finora. V for Vendetta, per certi versi, è molto deludente. La scelta di vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto è sicuramente da lasciare alla sensibilità di ognuno. Si può capire chi è soddisfatto, perché un film da 100 milioni di dollari con una storia di governi criminali e di campi di detenzione illegali non è certo roba che ci si aspetterebbe da Hollywood in questo momento. E’ un interrogativo forse strampalato, ma mi chiedo cosa sarebbe successo se questo film fosse dovuto uscire nel 2002. Sarebbe stato pesantemente modificato o addirittura lasciato in un cassetto? Non è da escludere e per fortuna ce la siamo cavata con un semplice rinvio.

D’altronde, il film ha parecchi problemi, peraltro facilmente inquadrabili. In primis, l’esordiente James McTeigue (aiuto regista di Matrix e di Star Wars – Episodio II), non sembra adeguato alla grande responsabilità ricevuta, anche se non per i motivi che mi sarei aspettato. Infatti, prevedevo un film patinatissimo e pieno di scene d’azione nel classico stile Matrix, fatti di ralenti e bullet time. Invece, McTeigue (a parte un paio di momenti) si contiene molto e mantiene uno stile asciutto, come se volesse concentrarsi soprattutto sulla storia e i personaggi, ma a tratti dando l'impressione di essere intimidito dalla materia trattata. Scelta lodevole, ma che presenta diversi difetti. Intanto, uno spettatore minimamente preparato avrà già visto nella sua vita decine di futuri alternativi, più o meno riusciti. E’ ovvio quindi che c’è bisogno di un po’ di originalità e di idee nuove, ma i creatori di questo film non sembrano avere intenzione di rischiare molto in questo senso.
Addirittura, la fotografia di Adrian Biddle, che si è fatto un nome grazie alle pellicole di Ridley Scott, è forse l’aspetto più deludente del film, per come sembra uscire da qualche banale serial televisivo. Se pensiamo al look (molto spoglio e triste) del fumetto originale (che peraltro viene seguito abbastanza fedelmente) è difficile non rimanere perplessi. D’altronde (e questa è stata forse una scelta saggia), il senso di oppressione e miseria della graphic novel di Alan Moore viene rimpiazzato da un benessere diffuso nella popolazione. Come dire, il popolo accetta la privazione delle libertà personali, basta dargli un televisore gigante e una macchina adeguata.

Il problema dei Wachowski è che sono troppo innamorati dei complotti, tanto da aggiungere una sottotrama sull’elite al potere e sul modo in cui ha raggiunto questa posizione, che francamente funziona poco. D’altronde, tutta la pellicola è fatta di alti e bassi. La carrellata sulle porte delle celle dove sono rinchiusi i prigionieri è magnifica, ma i campi di concentramento sono una metafora fin troppo evidente e banale del nazismo, così come i comizi elettorali (molto hitleriani) di Adam Sutler.

Per quanto riguarda i personaggi, V ha un esordio un po’ troppo prolisso (inutile trincerarsi dietro la fedeltà al fumetto, alcune cose non funzionano allo stesso modo nel passaggio tra i due mezzi di espressione), ma alla lunga regge bene, grazie all’impegno di Hugo Weaving, che recita tutto il film con la maschera indosso. Natalie Portman, invece, non sempre è convincente, in particolare nelle scene più emotive. Comunque sia, il rapporto tra loro due è efficace, cosa fondamentale per la riuscita del film. Peccato per alcuni personaggi (la figura del vescovo pedofilo è ridicola e sembra uscita dal Vernacoliere) che il doppiaggio italiano non sia all’altezza e raggiunga vette negative con la figura fondamentale di Valerie.

Insomma, doveva essere una rivoluzione e invece è solo di un ballo. Ma forse è il ballo la cosa veramente importante…

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