Up Here (prima stagione), la recensione

Up Here, con star Mae Whitman e Carlos Valdes, non sfrutta nel migliore dei modi i talenti coinvolti, pur risultando una visione piacevole

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La recensione della prima stagione di Up Here, disponibile su Disney+

Compiendo un salto nel passato, alla fine degli anni '90, Up Here porta sugli schermi di Hulu e Disney+ un musical suddiviso a episodi dall'atmosfera romantica e molto ironica, con un intreccio che prova con leggerezza a esplorare la nascita di un amore dal punto di vista psicologico. Il risultato è un curioso incrocio tra episodi stile Crazy Ex-Girlfriend e Lo straordinario mondo di Zoey e film come Inside Out.

La trama di Up Here

Lindsay (Mae Whitman) è cresciuta in una piccola cittadina di provincia, conducendo un'esistenza tranquilla e priva di grandi emozioni, fino a quando un suo racconto viene scelto per la pubblicazione su una rivista della Grande Mela. La ragazza decide quindi di partire con destinazione New York nel tentativo di potersi mantenere scrivendo, tagliando i ponti con la sua vita precedente e l'ex fidanzato. Miguel (Carlos Valdes) lavora in campo finanziario, dove non si sente a proprio agio, dopo aver messo da parte le sue aspirazioni artistiche, anche a causa della dolorosa fine di una storia d'amore e problemi in famiglia. I due si incontrano in un bar e, nel corso del 1999, il loro rapporto si modifica ed evolve mentre entrambi fanno i conti con le proprie insicurezze e le "voci" nella propria testa che li giudicano e criticano. Lindsay fa i conti con i genitori (Katie Finneran e John Hodgman) e un'ex compagna di classe (Sophia Hammond), mentre lui affronta la defunta madre (Andrea Burns), la sua ex (Emilia Suarez) e l'uomo con cui lei lo ha tradito (Scott Porter).

La natura teatrale del progetto

A rendere la visione di Up Here particolarmente piacevole è l'interpretazione dei due protagonisti. Mae Whitman è perfettamente a suo agio nel ruolo della giovane abituata a dover mettere a tacere i lati della propria personalità che è stata convinta a ritenere non apprezzabili o accettati dal prossimo, compiendo un percorso alla scoperta di se stessa non privo di errori e numerosi passi indietro. Gli incontri con la sua coinquilina, Miguel, e un autore di libri per bambini interpretato da Brian Stokes Mitchell la spingono a mettersi alla prova e a riflettere su ciò che vuole nella vita e l'attrice è molto brava nel muoversi tra luci e ombre. Altrettanto bravo è Carlos Valdes nel portare in vita un giovane ansioso e paranoide che ha rinunciato a molte cose per un senso di dovere nei confronti della sua famiglia e per il timore di essere nuovamente ferito. I due riescono a gestire anche i momenti maggiormente sopra le righe della storia, tra uso di sostanze stupefacenti e relazioni improvvisate, mantenendo i propri personaggi realistici e rappresentativi di una generazione che ha affrontato i cambiamenti della società, come sottolineato dal passaggio al nuovo secolo al centro del season finale, mentre stava entrando nell'età adulta.
I continui passaggi tra ciò che accade nella mente di due protagonisti agli eventi esterni è inoltre gestito con naturalezza dagli attori che usano la propria espressività per far emergere la vulnerabilità della coppia.

Le interpretazioni del resto del cast sono generalmente di buon livello ed è interessante come si sia scelto di dare spazio anche a figure che, solo apparentemente, non possiedono l'importanza di avere un impatto decisivo sulla vita dei protagonisti. La presenza dell'ex compagna di liceo di Lindsay, tuttavia, ricorda in modo intelligente l'impatto che ogni persona può avere sulla vita del prossimo, spesso inconsapevolmente, e di quanto a lungo una ferita interiore possa rimanere aperta causando dei danni nella vita quotidiana.

Un team di autori di alto livello per un risultato non all'altezza delle aspettative

A firmare le canzoni originali della serie è il duo composto da Kristen Anderson-Lopez e Robert Lopez, che ha contribuito al successo di Frozen - Il Regno di Ghiaccio. I brani ideati per Up Here si differenziano per stile e sonorità e risultano molto accattivanti e ben costruiti per delineare la storia, dimostrando ancora una volta il valore dei due artisti.
Nel team che ha realizzato lo show ci sono poi gli sceneggiatori Steven Levenson (Dear Evan Hansen) e Danielle Sanchez-Witzel (New Girl), e il regista Thomas Kail (Hamilton). La qualità indubbia delle persone coinvolte non si rispecchia sempre nella serie, la cui narrazione risulta fin troppo frammentata e in più parti poco ispirata, rifugiandosi in facili stereotipi e non approfondendo in modo adeguato, quasi ironicamente considerando l'approccio scelto, la psicologia dei personaggi. Le canzoni, in più di un'occasione, aggiungono poco a quanto già proposto e la costruzione visiva non brillla per originalità, sfruttando cliché come la ragazza di provincia che si trasferisce in città o il giovane che deve mantenere la propria famiglia, per sostenere il racconto.
L'insieme, pur tra molti alti e bassi, scorre però piacevole grazie alla breve durata delle puntate che rende Up Here quasi un film suddiviso in capitoli, piuttosto che una stagione di uno show televisivo.

Per chi ama i musical, Up Here risulta una parentesi piacevole e in grado di intrattenere, una visione che soddisfa grazie alla bravura del team coinvolto. Gli spettatori che amano le comedy poco impegnative, ma non superficiali, potrebbero apprezzare il lavoro compiuto dal team di autori e interpreti. Difficile, tuttavia, che la serie riesca a far cambiare idea a chi si tiene a distanza dai musical o dalle rom-com seriali. Nonostante il cliffhanger, inoltre, la storia potrebbe avere poche chance di proseguire, conducendo così gli spettatori a un punto di svolta importante nella vita dei protagonisti senza però avere l'occasione di mostrarli alle prese con responsabilità e impegni che potrebbero sradicare tutte le certezze raggiunte nel percorso verso la scoperta della propria identità al centro della prima stagione.

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