Unrest, la recensione
La perizia storica e il realismo sono quindi il massimo del piacere che si possono trarre da Unrest, un film in cui il movimento anarchico svizzero, la condizione delle lavoratrici e le dinamiche socio-polithce vengono raccontate finemente e a più livelli come raramente si vede
La recensione di Unrest, dal 22 febbraio su MUBI
È però evidente che l’interesse di Cyril Schäublin stesso sia in primis tematico: i due protagonisti (o meglio, gli unici che potremmo definire come tali) lo sono infatti solo in virtù del fatto che si parla di uno di loro nella prima sequenza (Pyotr, un cartografo russo che si reca in Svizzera per lavoro) o del fatto che la macchina da presa osserva più insistentemente degli altri Josephine, un’operaia della fabbrica che nella filiera si occupa di costruire il meccanismo di oscillazione dell’orologio (e che infatti dà il titolo al film). Ma la storia è pretestuosa, sembra quasi che allo stesso autore non interessi. Quello che invece gli interessa, e si vede dalla cura maniacale con cui il contesto viene narrato e messo in scena, è rispondere a una serie di curiosità storiche: cosa voleva dire lavorare in una fabbrica di orologi svizzera a fine Ottocento? Quali erano le dinamiche del movimento anarchico dell’epoca? E come queste due cose si legavano, nella vita quotidiana?
Unrest quindi attraverso la forma cala dentro questo piccolo mondo dove i personaggi sembrano pupazzi di legno dentro un orologio a cucù, i cui il senso stesso della misura (come tempo e precisione spaziale) è cruciale ed è reso dal continuo ticchettio degli orologi che misurano ogni passo della filiera della fabbrica per aumentarne la produttività (ed è motivato quindi dalla narrazione stessa). L’ossessione per il tempo viene fuori come una caratterista anche propriamente culturale: ne è un esempio la scena in cui l’impiegata del telegrafo spiega a Pyotr che nel cantone ci sono quattro orari ufficiali diversi - che fanno anche a gare tra di loro - e che se vuole mandare un telegramma deve sceglierne per forza uno. Anche se è una questione di secondi.
La perizia storica e il realismo sono il massimo del piacere che si possono trarre da Unrest, un film in cui il movimento anarchico svizzero, la condizione delle lavoratrici e le dinamiche socio-polithce vengono raccontate finemente e a più livelli come raramente si vede (che si tratti della vita quotidiana, del lavoro in fabbrica o dei momenti collettivi di svago, organizzazione o protesta). Così, alla fine dei conti, della storia di Josephine e Pyotr ci si dimentica anche volentieri.
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