Unrest, la recensione

La perizia storica e il realismo sono quindi il massimo del piacere che si possono trarre da Unrest, un film in cui il movimento anarchico svizzero, la condizione delle lavoratrici e le dinamiche socio-polithce vengono raccontate finemente e a più livelli come raramente si vede

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La recensione di Unrest, dal 22 febbraio su MUBI

Unrest di Cyril Schäublin è, più che una storia di cambiamento personale (come vorrebbe far credere), un film sull’idea di modernità tecnologica e politica di un'originalità spiazzante. Ambientato in un cantone svizzero nel 1872, si muove tra una fabbrica di orologi che sta cercando di aumentare la produttività e il piccolo microcosmo sociale e politico che la circonda. È tempo di elezioni comunali e il movimento anarchico operaio della fabbrica si sta organizzando per accrescere il numero dei propri sostenitori (sei anni prima, come viene ricordato, ci furono i tre mesi della Comune parigina a cui il movimento si ispira): Unrest ne segue il percorso, le dinamiche interne, le implicazioni politiche sulla vita quotidiana. Insomma già solo l'interesse narrativo del film è così particolare da creare curiosità.

È però evidente che l’interesse di Cyril Schäublin stesso sia in primis tematico: i due protagonisti (o meglio, gli unici che potremmo definire come tali) lo sono infatti solo in virtù del fatto che si parla di uno di loro nella prima sequenza (Pyotr, un cartografo russo che si reca in Svizzera per lavoro) o del fatto che la macchina da presa osserva più insistentemente degli altri Josephine, un’operaia della fabbrica che nella filiera si occupa di costruire il meccanismo di oscillazione dell’orologio (e che infatti dà il titolo al film). Ma la storia è pretestuosa, sembra quasi che allo stesso autore non interessi. Quello che invece gli interessa, e si vede dalla cura maniacale con cui il contesto viene narrato e messo in scena, è rispondere a una serie di curiosità storiche: cosa voleva dire lavorare in una fabbrica di orologi svizzera a fine Ottocento? Quali erano le dinamiche del movimento anarchico dell’epoca? E come queste due cose si legavano, nella vita quotidiana?

Proprio queste domande e il modo in cui Schäublin ne esplora le risposte sono in assoluto la cosa migliore di Unrest: un film che nella messa in scena e nel dettaglio storico riversa la stessa attenzione millimetrica con cui le operaie montano i piccoli ingranaggi degli orologi. La prima attenzione di Schäublin è innanzitutto formale: le inquadrature sono sempre statiche, ma la loro originalità sta in questo alternarsi di dettagli di mani, primi piani di volti e questi campi lunghi che sembrano dei tableaux vivants. Queste inquadrature sono clamorose, quasi divertenti da leggersi: in esse l’azione è sempre decentrata, sentiamo un dialogo ma per capire chi sta parlando (e quindi chi è il soggetto dell'inquadratura) dobbiamo aguzzare la vista per poi trovarlo negli angoli più disparati.

Unrest quindi attraverso la forma cala dentro questo piccolo mondo dove i personaggi sembrano pupazzi di legno dentro un orologio a cucù, i cui il senso stesso della misura (come tempo e precisione spaziale) è cruciale ed è reso dal continuo ticchettio degli orologi che misurano ogni passo della filiera della fabbrica per aumentarne la produttività (ed è motivato quindi dalla narrazione stessa). L’ossessione per il tempo viene fuori come una caratterista anche propriamente culturale: ne è un esempio la scena in cui l’impiegata del telegrafo spiega a Pyotr che nel cantone ci sono quattro orari ufficiali diversi - che fanno anche a gare tra di loro - e che se vuole mandare un telegramma deve sceglierne per forza uno. Anche se è una questione di secondi.

La perizia storica e il realismo sono il massimo del piacere che si possono trarre da Unrest, un film in cui il movimento anarchico svizzero, la condizione delle lavoratrici e le dinamiche socio-polithce vengono raccontate finemente e a più livelli come raramente si vede (che si tratti della vita quotidiana, del lavoro in fabbrica o dei momenti collettivi di svago, organizzazione o protesta). Così, alla fine dei conti, della storia di Josephine e Pyotr ci si dimentica anche volentieri.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Unrest? Scrivetelo nei commenti!

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