Uno scandalo molto inglese: la recensione

Le nostre impressioni sulla miniserie A Very English Scandal, con Hugh Grant e Ben Whishaw

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C'è una gustosa leggerezza che corre quasi fuoriposto ad accompagnare le vicende, tutt'altro che piacevoli, di Uno scandalo molto inglese A Very English Scandal. La scrittura dissacrante di Russell T. Davies si appoggia alla regia di Stephen Frears, che gode come sempre di un piacere tutto suo ad indagare le ipocrisie e le morbosità dietro le stanze del potere. In tutto questo, Hugh Grant e Ben Whishaw offrono tra le migliori interpretazioni della loro carriera (entrambi sono candidati al Golden Globe), ed è davvero difficile chiedere di più alla miniserie in tre parti andata in onda sulla BBC in Inghilterra e da noi su Fox Crime.

La storia prende spunto dall'omonimo testo scritto da John Preston. Si tratta di una drammatizzazione degli eventi reali che coinvolsero il leader del partito liberale inglese Jeremy Thorpe. Negli anni '60 l'uomo ebbe una relazione omosessuale – all'epoca scandalosa di per sé – con un uomo più giovane di nome Norman Scott. Il tutto venne tenuto segreto, ma il vero scandalo scoppiò circa un decennio dopo, quando Thorpe venne accusato di essere stato il mandante di un tentativo di omicidio nei confronti dell'ex amante.

Basta uno sguardo di Hugh Grant nei panni del politico britannico per inquadrare il tipo di approccio al materiale. Che avrebbe potuto essere raccontato con ben altra cupezza e ben altro piglio drammatico. Qui invece lo spunto drammatico – abbandono, ipocrisia, corruzione del potere – lascia il posto ad una serie che conosce vari spunti ora grotteschi, ora tragicomici, e non appesantisce mai l'esposizione. Hugh Grant, con la sua interpretazione brillante, caricata, affascinante e diabolica secondo l'occorrenza, è il simbolo e il catalizzatore dell'intera vicenda. Molto più delicato (la regia si sofferma proprio sul suo fisico esile) e fragile è il Norman di Ben Whishaw, che potrebbe ricordare il Frobisher di Cloud Atlas, seppur con meno velleità da artista.

Qui è il Russell T. Davies pre-Doctor Who e più vicino a Queer as Folk a scrivere la brillante sceneggiatura, mentre Stephen Frears sembra proprio il nome più indicato per il materiale. In questa storia che tratta a modo suo di "relazioni pericolose", il regista inglese cerca sempre il sorriso sardonico dietro l'amarezza della storia, tipico di chi si vuole divertire a mettere in ridicolo la presunta purezza del potere. Spiazzante nel primo episodio e più lenta nel secondo – il meno bello – la storia si riprende infine con una terza puntata più esaltante, che vede l'esposizione pubblica della vicenda e le reazioni. Di episodio in episodio emerge allora il fascino irresistibile nel mettere a nudo la stolida rigidità delle istituzioni e della società britannica, fosse quella di un passato lontano o del nostro presente.

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