Unity vol. 6: La Signora della Guerra, la recensione

Abbiamo recensito per voi il nuovo volume di Unity intitolato La Signora della Guerra, di Kindt, Luis, Palo e Dalhouse

Fumettallaro dalla nascita, ha perso i capelli ma non la voglia di leggere storie che lo emozionino.


Condividi

L’eterna lotta tra bene e male si perpetua tra le pagine del sesto emozionante volume dedicato alla squadra Unity, supergruppo di casa Valiant che annovera tra le sue fila il Guerriero Eterno Gilad, Aric di Dacia - meglio noto come X-O Manowar - Colin King (Ninjak) e Amanda McKee (Livewire): i campioni della Terra ai quali si è unita l’intelligenza artificiale aliena Gin–Gr, a completare una barriera impenetrabile per ogni genere di minaccia.

Dopo il crossover Armor Hunters, però, Unity è stata messa a dura prova, e i precari equilibri interni hanno portato prima all’abbandono di Aric e, in seguito, a quello di Faith. Come se non bastasse, a rendere più incerto il futuro del gruppo, una fuga di notizie che ha travolto Unity e minato la fiducia che la gente nutriva nei confronti dei suoi beniamini. Direttamente dall’alba dell’umanità, inoltre, si palesa un'entità intenzionata a eliminare l’ultimo ostacolo che la separa dal concretizzarsi dei suoi piani: dare inizio alla Terza Guerra Mondiale. Il nome di questa fanciulla è Signora della Guerra.

Avevamo lasciato i nostri eroi con i postumi di una battaglia che ne aveva sfiancato corpo e anima; li ritroviamo alle prese con l’entità ancestrale che da sempre semina odio, distruzione e morte. Come il tomo precedente, anche in questo caso, i primi tre capitoli sono dedicati ai singoli eroi: una loquace e irriverente ragazza affronta, nell'ordine, Ninjak, Livewire e il Guerriero Eterno, non prima, però, di aver condiviso con loro i ricordi degli scontri con le precedenti incarnazioni di Unity.

Ai testi troviamo ancora lui, Matt Kindt, fautore di questa serie che, un volume dopo l'altro, conferma il suo elevato valore. Lo sceneggiatore ci conduce attraverso epoche diverse, dall’età della pietra ai giorni nostri, sottolineando l’agire subdolo della guerra e l’animo corruttibile dell’umanità. Kindt si lancia in una profonda riflessione sulla convivenza di bene e male, di come non si possa negare che facciano entrambi parte della natura umana: ognuno di noi è il campo di battaglia di questa lotta, ognuno di noi lascia che l’esito dello scontro si diriga verso una delle due parti; il bene e il male non sono assoluti, ma nostre costruzioni, figli delle nostre azioni. Sta noi decidere per cosa combattere, come ci viene mostrato nel capitolo conclusivo, quando la narrazione viene condotta in prima persona da Anchor, supereroe sconosciuto che si unisce alla causa per lo scontro decisivo.

Una trama solida, un fluire denso di azione, dialoghi ricchi di spunti di riflessione e un finale struggente confezionano l'ennesimo ottimo storyarc di questa serie. L'utilizzo dei flashback, inoltre, consente a Kindt di creare un mitologia valida della squadra Unity che va ad ampliare il già vasto Universo Valiant.

Le matite sono affidate a Jose Luis, Alisson Rodrigues e Jefte Palo, con il primo a occuparsi dei segmenti ambientati nel passato, e i colleghi concentrati sul presente. Il contrasto tra i due stili grafici è evidente: realistico, plastico, espressivo quello di Luis, molto più dinamico e inusuale l'altro, a creare un stacco che aiuta a rimarca le differenza temporali, ma che, al contempo, inficia la resa generale della storia. Quando poi il pallino passa tutto in mano a Luis - nel capitolo conclusivo - la storia riacquista una potenza grafica di grande impatto. Non un esperimento da bocciare completamente - anche il primo volume Faith giocava su un'alternanza simile - ma certamente una scelta poco idonea al mood del volume e della serie in generale.

Quanto tempo passerà prima che la Signora della Guerra torni a diffondere caos e generare distruzione? Troverà ancora questa squadra Unity ad attenderla, o altri nuovi eroi saranno disposti al sacrificio pur di preservare la pace sulla Terra? Nell'attesa non ci resta che continuare a confidare in Matt Kindt: ad oggi la sua gestione è perfetta, un'alternanza di momenti epici, intesi, introspettivi, senza mai perdere la bussola. Il punto più alto dell'Universo Valiant insieme a Bloodshot.

Continua a leggere su BadTaste